La crisi climatica rende i prodotti agricoli nazionali sempre meno disponibili sul mercato e quindi sempre più cari. Da questa considerazione prende le mosse una lunga analisi della situazione condotta dal Wwf, nell’ambito della sua campagna Our Future, in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, lo scorso 16 ottobre. Un documento di straordinario interesse che vale la pena sviscerare.
Un cambiamento strutturale
In Italia la stagione agricola 2025 ha rappresentato una prova concreta della vulnerabilità del Paese agli eventi climatici estremi. Il Wwf Italia ha acceso un faro sulla crescente pressione su risorse idriche, produzione e sicurezza alimentare ed ha sottolineato l’urgenza di ripensare modelli colturali, sistemi di irrigazione e strategie di adattamento. Le perdite registrate in diversi comparti mostrano come l’impatto climatico non sia affatto episodico, ma strutturale, con ricadute dirette sull’economia, sulla disponibilità, sulla stabilità delle comunità agricole e sulla qualità stessa del cibo.
Temperature da record
Il 2025 conferma il trend di riscaldamento globale ed europeo, con effetti evidenti in tutte le stagioni. L’Italia non fa eccezione: la media nazionale dei primi tre mesi 2025 ha segnato un’anomalia di +1,67°C, inferiore al record del 2024 ma superiore al 2023, con marzo contraddistinto da condizioni variabili e un ritorno di temperature invernali nella seconda metà del mese. Giugno 2025 ha raggiunto il secondo posto tra i mesi di giugno più caldi mai registrati. Secondo i dati del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac), la temperatura media nazionale ha raggiunto un’anomalia di +3,02°C rispetto alla media climatologica del periodo 1991-2020, avvicinandosi pericolosamente al record assoluto stabilito nel giugno 2003. L’estate ha consolidato la tendenza al caldo estremo, con luglio e agosto tra i più torridi mai registrati in Europa. L’Italia ha subito ondate di calore intense.
La produzione di latte in pericolo
La crisi climatica sta avendo effetti negativi sulla produzione di latte. Uno studio, apparso su Science Advances, ha dimostrato che lo stress termico nelle mucche riduce in modo significativo la produzione di latte, con effetti che possono protrarsi per oltre dieci giorni. Secondo dati Ismea, nel 2025 la produzione di latte in Europa è diminuita dell’1%, trend confermato anche in Italia nel primo quadrimestre. La Lombardia, che produce quasi la metà del latte nazionale, ha visto produzione ridotta fino al 15% rispetto ai livelli standard, con perdite fino a 1,8 milioni di litri al giorno, secondo le associazioni di categoria locali. Anche in Molise si sono registrati cali fino al 30%.
Non solo caldo
Sul fronte agricolo la situazione non è migliore. Non è soltanto il caldo estremo a mettere in difficoltà il settore: oggi una delle minacce più gravi per molte colture è la combinazione di inverni miti seguiti da improvvise gelate primaverili, in grado di compromettere intere stagioni produttive. Le temperature insolitamente elevate dell’inverno anticipano il risveglio vegetativo delle piante: gemme, fiori e germogli si sviluppano prima del previsto e diventano così estremamente vulnerabili ai ritorni di freddo. Questi eventi, sempre più frequenti e intensi, soprattutto nel Nord e nelle aree collinari, hanno segnato profondamente il 2025. Le coltivazioni hanno subito danni ingenti a causa di fattori ormai ricorrenti della crisi climatica: anticipo delle fasi vegetative, forte variabilità meteorologica e oscillazioni termiche improvvise.
I prezzi alle stelle
Un caso emblematico riguarda i ciliegeti pugliesi. La regione, che da sola produce circa il 30% delle ciliegie italiane, ha visto il raccolto 2025 crollare dal 70% fino al 100% in alcune zone, colpite dalle gelate di marzo e aprile. I fiori sono stati letteralmente «bruciati» dal gelo, con effetti devastanti sulla produzione. Alle perdite agricole si sono aggiunti pesanti risvolti economici: a Milano le ciliegie sono arrivate a costare fino a 23 euro al chilo.
Aumenti improvvisi come questo, legati agli effetti economici sempre più evidenti della crisi climatica, chiamati anche climate inflation (o climateflation), stanno diventando un fenomeno diffuso e persistente. Le ripercussioni sull’accesso al cibo sono profonde, soprattutto per le fasce più fragili della popolazione. Un numero crescente di persone vive ormai vicino alla soglia di povertà e rinuncia spesso a frutta e verdura, con conseguenze dirette sulla salute.
Anche il mercato italiano delle mandorle riflette questa dinamica. Nel 2025 in Puglia i prezzi sono aumentati del 15-20% rispetto al 2023, poiché la produzione regionale è crollata del 60% a causa della combinazione di gelate primaverili e siccità. Una crisi analoga ha colpito i noccioleti, ancora nel pieno della raccolta, con un rendimento stimato a meno della metà del potenziale produttivo nazionale. Il venir meno di queste produzioni italiane lascia vuoti significativi sul mercato, colmati rapidamente da importazioni estere di qualità spesso inferiore e non sempre conformi agli standard europei.
I danni dal miele alle pere
Le brusche escursioni climatiche primaverili hanno anche intaccato la produzione di miele italiano. Nonostante una tradizione apistica consolidata, con oltre 30 mieli uniflorali e una ricchissima varietà di millefiori tipici del territorio, nel 2025 la produzione primaverile si è quasi azzerata, con una ripresa minima estiva. Un duro colpo per un comparto che rappresenta non solo un’eccellenza agroalimentare, ma anche un presidio fondamentale per la biodiversità. Sul fronte dei consumi, secondo l’ultima ricerca dell’Unione italiana food, quasi 4 italiani su 10 hanno aumentato nell’ultimo anno il consumo di miele: più di un italiano su due lo consuma settimanalmente e oltre il 17% tutti i giorni, con un consumo pro capite di 400/450 grammi all’anno, leggermente più basso della media europea che arriva a 600 grammi.

Le gelate tardo-primaverili hanno intaccato anche la produzione di pesche e albicocche: quest’ultime hanno registrato una campagna 2025 estremamente difficile, con un calo stimato del 20% rispetto al 2024, anno pessimo per le albicocche, per cui ci si aspettava un raccolto decisamente migliore. Il calo è dovuto in parte anche alla riduzione di superficie coltivata: a causa del rischio dovuto alle gelate molti agricoltori stanno abbandonando progressivamente la coltivazione delle albicocche, che ha troppi costi e soprattutto troppi rischi.
Tra i comparti colpiti, spicca la pericoltura: un anno particolarmente difficile per le pere, danneggiate da gelate fuori stagione, grandinate estive, fitopatie e dalla persistente presenza della cimice asiatica. Secondo i dati di Prognosfruit 2025, la produzione nazionale ha registrato un crollo di quasi il 25% rispetto al 2024, confermando la progressiva perdita di centralità produttiva dell’Italia, un tempo leader europeo nel settore.
Segnali più incoraggianti per olio e vino
Segnali incoraggianti arrivano dal comparto olivicolo, dove – secondo i dati degli operatori del comparto – è iniziata la raccolta 2025 con prospettive di recupero dopo un 2024 segnato da siccità e caldo anomalo. Le prime stime indicano un incremento produttivo di circa il 30%, trainato dal Sud. Al Nord, invece, il maltempo e gli eventi climatici estremi hanno provocato un crollo stimato intorno al 40 per cento, confermando la forte vulnerabilità dell’olivicoltura alla crisi ambientale.
Anche il settore vitivinicolo mostra segnali positivi. La vendemmia 2025 ha beneficiato di condizioni climatiche complessivamente equilibrate, con buona qualità e quantità delle uve dopo le difficoltà delle stagioni precedenti. Nonostante piogge primaverili irregolari e ondate di calore estive, la gestione agronomica e l’adattamento dei viticoltori hanno garantito un corretto sviluppo vegetativo. Le elevate temperature estive hanno anticipato la maturazione, con inizio della raccolta in alcune zone già da fine agosto. Si prospetta un’annata enologica di ottimo livello.
Il boom della frutta tropicale
Al tempo stesso, l’Italia sta vivendo una trasformazione inattesa: il boom della frutta tropicale. Grazie all’aumento delle temperature medie e alla sperimentazione di nuove tecniche agricole, superfici sempre più ampie vengono dedicate a mango, avocado, papaya, lime e annone, coltivati soprattutto in Sicilia, Puglia e Calabria. La produzione è ormai talmente consistente da non limitarsi al fabbisogno interno: alcune filiere hanno iniziato ad esportare frutta tropicale italiana verso i mercati del Nord Europa, ribaltando il tradizionale ruolo di paese importatore e mostrando come la crisi climatica stia ridefinendo la geografia agricola nazionale.
Le soluzioni
Parallelamente, centri di ricerca e aziende agricole stanno puntando sulla selezione di nuove cultivar capaci di resistere meglio sia al caldo estremo sia alle gelate tardive. Sono in corso sperimentazioni su varietà di vite più tolleranti alle forti escursioni termiche, su drupacee (pesche, albicocche) con fioritura posticipata per ridurre il rischio di danni da gelo, e su cereali in grado di affrontare periodi di siccità alternati a precipitazioni improvvise. Queste nuove varietà, spesso considerate il salvagente contro le sfide poste dalla crisi climatica, non sono però una soluzione immediata: richiedono tempo per adattarsi ai diversi microclimi locali e, in alcuni casi, si rivelano poco utili sul lungo periodo proprio perché questi stessi microclimi sono in continua trasformazione.
«Per valorizzare davvero il potenziale del nostro settore agricolo – dichiara Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia – è necessario mettere a sistema più azioni: dall’economia circolare all’agroecologia, dall’innovazione tecnologica all’agricoltura rigenerativa, passando per la prevenzione e l’adozione di colture meno idroesigenti, il ripristino degli agroecosistemi e della fertilità dei suoli, fino al recupero e riuso delle acque reflue depurate. Occorre inoltre rafforzare la diffusione dell’agricoltura biologica e dare piena attuazione alle progettualità per il risparmio idrico. Solo così potremo costruire un’agricoltura più sostenibile, capace di garantire qualità e competitività, ma soprattutto pronta ad affrontare con maggiore resilienza la sfida della crisi climatica».
I pericoli per la salute
Gli effetti della crisi climatica sull’alimentazione sono ormai una minaccia per la salute delle persone, soprattutto per le fasce più fragili. La riduzione delle rese e l’aumento dei costi lungo la filiera stanno rendendo più difficile l’accesso agli alimenti più nutrienti — frutta, verdura, cereali integrali e legumi — che la dieta della salute planetaria Eat-Lancet 2025 indica come fondamentali per prevenire malattie croniche. I risultati del 2025 confermano che un’adozione diffusa di questo modello alimentare può ridurre fino al 70% il rischio di patologie cardiometaboliche, ictus, diabete e alcune forme di cancro, abbattere significativamente le emissioni agricole globali e migliorare l’uso sostenibile delle risorse idriche e del suolo. Tuttavia, l’aumento dei prezzi di questi alimenti rischia di rendere questa dieta difficilmente accessibile per molte famiglie, accentuando le disuguaglianze: le fasce più vulnerabili sono quelle maggiormente esposte agli effetti negativi di diete poco salutari e all’inaccessibilità dei cibi sani. Poiché la salute e il benessere delle persone dipendono da ciò che mangiano, la progressiva inaccessibilità economica (o persino la scomparsa) di alcuni alimenti rischia di diventare una delle emergenze più gravi per questa e per le prossime generazioni.
Intervenire per fermare il cambiamento climatico e i suoi effetti sul tessuto sociale non è più rimandabile. Purtroppo, rileva il Wwf, le istituzioni europee e il governo nazionale sembrano andare esattamente nella direzione opposta. Per il Wwf il diritto alla salute e alla sicurezza va invece tutelato di fronte ad una minaccia che ha già modificato il clima e sta avendo effetti sempre più visibili e devastanti su scala globale e locale. C’è bisogno di azioni concrete da parte di chi governa per invertire la rotta. Per dare a tutti i cittadini la possibilità di fare arrivare questa richiesta alle istituzioni, il Wwf Italia ha lanciato una petizione dal titolo «Zero scuse sul clima».





