L’Italia è leader nel mondo nel settore dell’olio d’oliva. Seconda per produzione ed esportazione e prima per consumo pro-capite. Lo ha evidenziato lo studio di The European House – Ambrosetti, presentato in collaborazione con Monini Spa a Cibus Forum, in corso a Fiere di Parma. L’analisi, però, evidenzia anche un calo di produzione del 36% rispetto al 1990.
Seppur l’Italia si trovi ai primi posti nella classifica mondiale di Paesi produttori di olio di oliva, negli ultimi anni si è verificata una diminuzione. Il calo di produzione testimonia alcuni importanti limiti strutturali e organizzativi alla competitività della nostra filiera. Inoltre è segno di una scarsa percezione del valore del prodotto da parte dei consumatori.
Nonostante il consumo pro-capite sia il maggiore in tutto il pianeta, esistono dei limiti che in Italia frenano il pieno sviluppo della produzione. Molto spesso si è legati ad una logica che punta alla quantità a discapito della qualità. Ne risente quindi la percezione del valore del prodotto, dal momento che si punta principalmente a massimizzare i profitti.
Secondo gli analisti, infatti, il settore olivicolo-oleario “presenta una distribuzione disomogenea del valore generato tra i suoi attori e, la maggior parte delle imprese, registrano una marginalità ridotta. Ciò è particolarmente evidente nell’olivicoltura, troppo votata ad un approccio tradizionale poco meccanizzato, ma anche nella prima trasformazione, spesso orientata a massimizzare i profitti concentrandosi più sui volumi che sulla qualità, e nell’imbottigliamento, la cui attività è fortemente influenza dalla competizione sui prezzi”.
L’olivicoltura, però, ha le carte in regola per cogliere la sfida ambientale. Una coltura così tradizionale può avere impatti positivi sull’ambiente naturale e sul territorio in cui si colloca. La pianta d’olivo è infatti in grado di sequestrare CO2 dall’atmosfera stoccando carbonio nel terreno in quantità tali da avvicinare la filiera ad azzerare le proprie emissioni complessive.
Inoltre si tratta di una coltivazione con un fabbisogno idrico ridotto, capace di adattarsi all’interno di ecosistemi molto diversi e che costituisce un patrimonio sociale, culturale e turistico di grande valore per le aree geografiche votate alla produzione di oro verde.
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