Le degustazioni di vino non sono un mistero per gli esperti, ma per i non addetti ai lavori spesso è quasi impossibile interpretarle. Quasi fosse una lingua diversa, un “vinese” creato ad hoc. Secondo lo psicologo Roberto Burro, infatti, si dovrebbero cambiare il linguaggio e l’approccio psicologico e descrittivo nel racconto di un calice di vino. Solamente in questo modo si colmerebbe il divario tra esperti e non esperti.
Degustare un vino non è roba per tutti. Sono necessarie alcune conoscenze di base per poter comprendere e apprezzare le qualità di ciò che si sta bevendo. Negli ultimi tempi, però, sempre più persone si sono accostate al mondo dell’enologia e anche se non sono degli esperti, c’è la voglia di apprendere e conoscere.
Uno dei maggiori ostacoli a questo approccio è il linguaggio, una sorta di “vinese” comprensibile solo agli addetti ai lavori. Lo ha detto Roberto Burro, docente di psicologia Università di Verona, intervenuto al primo incontro in digitale della Valpolicella Annual Conference promosso dal Consorzio di tutela dei vini del veronese.
Secondo lo studio, solo un terzo dei termini usati dai sommelier e guide del vino nella comunicazione sensoriale di un assaggio è compreso nello stesso modo da esperti e non esperti. Da qui la necessità, per una migliore comunicazione tra aziende e consumatori, di rendere più comprensibile questo linguaggio.
“Interessante la proposta di cambiare il “vinese” ha commentato il presidente del Consorzio di tutela dei vini Valpolicella Christian Marchesini. “Spesso – ha ammesso – ci capiamo tra noi, ma evidentemente il consumatore vuole un linguaggio nuovo e più inclusivo. Non solo per gli addetti ai lavori”.
Procedendo con l’analisi delle guide enologiche, dei disciplinari di produzione e dei termini tecnici Ais (Associazione italiana sommelier) emerge anche un altro particolare sottolineato da Burro.
Sembra infatti che il 40% dei termini utilizzati dai sommelier e produttori, riguarda l’olfatto, altro 40% sono descrittori del gusto, il 16% ha a che fare con la vista. Infine solamente un 4% riguarda un racconto diretto del territorio, azienda, storia dei winemaker, correlazioni con moda, arte, design. Ne deriva quindi una scarsa attenzione all’identificazione della personalità della bottiglia.
Il cliente non avvezzo al “vinese” può inoltre percepire negativamente alcune caratterizzazioni. Come, per esempio, quando si parla di catrame. Andrebbero invece evidenziate altre caratteristiche se si vuole avvicinare il consumatore con interesse e curiosità.
Lo studio di psicologia scientifica ha preso in esame ben 64 descrittori. Ne è emerso che termini come “tannico”, “astringente”, “abboccato” non sono di immediata comprensione per la maggior parte dei non addetti ai lavori.
Una comunicazione più efficace per le aziende, ha aggiunto l’esperto di psicologia, con un approccio personalizzato secondo l’utente e il suo grado di conoscenza della materia enologica, potrà essere implementato da un algoritmo messo a punto dall’ateneo scaligero per offrire nuove categorie di profilazione psicologica del cliente.
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