Abbiamo provato il Nero d’Avola del futuro: viene da Caltagirone ed è magnifico

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Ho assaggiato il Nero d’Avola del futuro, viene da Caltagirone ed è già tra noi. Strana storia quella del Nero d’Avola che, per i wine lovers della mia generazione, è diventato quasi un tabù, l’innominabile, il vino che bevevano i genitori, l’eno-equivalente dei Duran Duran e di Venditti. Insomma, una roba poco ironica, fuori dal tempo e tristemente lontana. 

E se invece il Nero d’Avola fosse, o perlomeno potesse essere, una cosa diversa che un rosso romantico, agile, che fa delle freschezza della dinamica le sue stelle polari, un vino dal DNA contemporaneo con poca estrazione, poco alcol e tanta, tanta poesia?

D’altronde nella storia, come insegna Hegel, per avere una realtà diversa basta solo pensarla prima. Il Nero d’Avola a cui siamo abituati è solo uno dei Nero d’Avola possibili. C’è un mondo che va oltre le stanche tassonomie enologiche delle Doc e dei consorzi il cuoi ruolo nel 2022 sembra solo quello di uccidere la fantasia perpetuando un neoclassicismo enoico, passatista e conservatore che premia molto di più il conformismo, rispetto agli slanci. 

Lo penso da molto da tempo e gli assaggi me lo continuano a confermare. I migliori vini in Sicilia si fanno fuori dalla Doc: sono banali IGT, ma non ditelo troppo in giro perché i poliziotti della “qualità” sono agguerriti e temibili. Una eno-FSB in servizio permanente. 

Tornando al vino nel mio bicchiere, questo “Terre di Conventazzo” di Sallemi è semplicemente magnifico. Una 2015 la cui freschezza naive e la provocante sensualità, ricordano la Sandrelli in bianco e nero dei film di Pietrangeli. 

Un rubino scuro, ma mai ermetico, nonostante il vino non sia filtrato. Naso speziato e balsamico e in bocca è il Nero d’Avola che sognavo di bere da anni. Tre anni di botte grande che avverti solo per gli effetti, mai sul palato: dinamica, freschezza, e persistenza che resta, non solo nel palato, ma nella mente  come un’idea non troppo platonica di un Nero d’Avola altro. Non calligrafico e stucchevolmente neoclassico, ma che guarda al futuro, qualunque esso sia. 

Da bere ascoltando una canzone dello stesso anno, che già nel titolo sembra parlare questo vino. Lui è Sam Smith e il pezzo si chiama Like I can.

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