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Peau Rouge 2018 di Domaine Josmeyer, un Sylvaner che sembra arrivare dal futuro
01 Nov 2020 10:08

Forse sono questi i vini di cui c’è bisogno, in questi tempi qua dove ironia e leggerezza sembrano scomparse, dove tutto sembra congiurare verso il grigio, il buio, il presente. Forse sono questi i vini che ci servono, quei bianchi che nelle enoteche online, dove ancora sopravvivono testi e tassonomie del mondo “precedente”, vengono derubricati sotto la voce “vini per cene fra amici“. Ora che sono proprio quelle cene, in casa o altrove a non potersi più fare, ora che gli amici li vedi solo su zoom o in qualche triste face time con l’audio ritardato.

Forse è in questi tempi qui, dove saremmo più tentati a concederci al burroso conforto di qualche Chardonnay troppo barricato e comfort wines dall’alto tenore alcolico, che può essere utile stappare un Sylvaner alsaziano della cantina Domaine Josmeyer, come supremo atto di fiducia verso il futuro, come un inno alla primavera che sembra così lontana ma che prima o poi tornerà, come una guerra, cantava qualcuno. Un vitigno la cui presenza decresce di anno in anno sulle colline colorate dell’Alsazia, un angolo di Francia che sa un po’ di Germania, (anche perché Germania lo era stata fino alla Grande Guerra), famosa per quelle strane, ironiche bottiglie dai colli lunghi e sottili come eno-giraffe in vetro scuro, dette appunto alsaziane, che fanno tanto chic dietro i banconi dei posti hipster.

Il Peau Rouge di Domaine Josmeyer

Il Peau Rouge è un Sylvaner in purezza che sembra arrivare dal futuro anche se è una 2018. Di primavera parlavamo e la senti tanto al naso, dopo una visiva un po’ timida ma non insignificante. All’olfatto si palesano freschezze floreali, di fiori bianchi di campo, un vino che sa d’aria aperta, d’ en plein air, un vino impressionista nel suo procedere sia al naso sia in bocca per accenni, suggerimenti e allusioni, senza che nessuna sensazione assuma mai toni troppo definiti, prevaricanti, dittatoriali.

Un vino poco assertivo al palato che sulle prime sembra scorrere via senza lasciare tanto e poi invece, beh, si fa ricordare a lungo, con una persistenza d’agrumi e di polpa che sulle prime non ti saresti aspettato. Un vino sincero e “swingante” come questi tempi non sono, una bottiglia dove la biodinamica la senti in bocca prima di leggerla sulla retroetichetta. Un vino che si limita a fare lo sporco lavoro che dovrebbe sempre fare un vino: dissetare con allegria e farci sentire più felici. Con i suoi 20 euro di costo medio ci consente inoltre di poterlo acquistare anche senza i soldi del Mes.

Lo abbino con un pezzo ottimista e swing di un jazzista che è morto giovane, tanti anni fa: “Come rain or come shine” di Sonny Clark. Al sax c’è un tizio non ancora famoso all’epoca, ma che con il jazz qualcosina avrebbe fatto, ovvero John Coltrane.


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