Lo Chenin Blanc forse è l’unica cosa che ci salverà: dagli incendi, dai lutti, dalle epidemie, dal populismo e dalla trap. Non necessariamente in quest’ordine. Sì, perché forse lo Chenin Blanc non cerca di assomigliare a nessuno e piace a quelli che ne capiscono la poesia. Per gli altri… beh, continuerà a non esistere, come Theolonius Monk, Gabriele Galloni e la Arlo Parks.
Perché bere Chenin Blanc è essere europei ma guardare all’oceano, perché la Loira, in questa terra febbricitante, è più uno state of mind che un terroir. Il Savenniéres Roche Aux Moines 2013 presenta una visiva dorata, alla Jackobs per capirci. Siamo nel 2013 e molti ghiacciai e governi tecnici fa, Avicii era ancora vivo e un pezzo che si chiama Thrift Shop era ovunque (ora tutti ovviamente negano di averlo ascoltato, chiaro). Era un mondo diverso (non necessariamente migliore), ma perlomeno più fresco di qualche grado.
Una visiva dorata che però non sa di “nouveau riche” ma che richiama a pienezza, maturità, nuove consapevolezze. Al naso si conferma pieno senza mostrare segni di stanchezza, classico ma futurista, tra fiori bianchi, agrumi, miele e mediterraneo. La potenza al sorso è quelle dei biondimanici ben fatti, la freschezza è quella della Loira migliore. Può guardare al futuro con grande ottimismo, mentre la fresca opulenza del presente fa presagire a una maturità eterna e bellissima stile Juliette Binoche per intenderci.
Un vino per amare meditando e per meditare sull’amore. O forse da bere e basta, davanti a tramonto in levare, lontano dalle spiagge e vicino a un giradischi dove suona Too Good, di Arlo Parks, che sembra già dal titolo parlare di questo vino.
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