Tendo a ripetermi, anche da sobrio: gli unici vini che vale la pena bere sono quelli fuori dai disciplinari, dalle doc, dalle Docg, da tutto. Questo Rosè di Cappello è l’ennesimo capolavoro fuorilegge, dai luoghi dell’unica (sfortunata) DOCG siciliana: il cersasuolo di Vittoria.
40% Frappato, 30% Nero d’Avola e per il resto un blend di vitigni reliquia, quelli che un tempo abitavano le terre di mezzo, tra i vigneti e le linguate. Un piacevole regno dell’eno-anarchia vegetale dove il caso, le leggi di Mendel, la storia e la geografia, creavano in autonomia nuovi blend ed emozioni.
Lo capisci al primo sorso che questo vino è diverso, facile da bere ma pensato, intenso, mai banale. Dodici mesi botte grande, danno carattere, concretezza e spessore senza sacrificare l’unica cosa che conta in un vino, la velocità a cui si tende a svuotare il bicchiere.
Un vino da beva compulsiva, senza la stanchezza dei Cerasuolo di Vittoria standard che troppo spesso hanno la stessa energia esausta di un congresso del Pd e lo stesso entusiasmo di un “nuovo” singolo di Ligabue. Per tutti quelli che pensano che Vittoria possa dare di più: è la bottiglia giusta, considerando che ne sono state prodotte 280 e che sei le ho io. Insomma, cercatevi le altre 274.
Sentirete un naso che sa di Borgogna per l’uso astuto del legno (il tema dell’uso del legno sul frappato è, a parere di chi scrive, uno dei temi chiave dell’eno-Sicilia del futuro), ma che non copre mai il frutto ma dà forza al bouquet. Il sorso è intenso, lungo e caparbio.
I vitigni reliquia danno una persistenza e una freschezza quasi aliena, che sembra provenire da uno strano, bellissimo, altrove. Insomma un vino che non esiste, ma che per fortuna c’è. Si chiama Ròse, ma è un rosso. Giusto per non farsi mancare nulla.
Se avrete la fortuna di berlo, consiglio un pezzo mediterraneo che sa di futuro. Lei è Lucrecia Dalt e il pezzo si chiama “No Tiempo”. Questo pezzo viene da un altrove bellissimo, come questo rosso che si chiama “ròse”.
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