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Export del Made in Italy: emergenza o opportunità?
01 Giu 2020 07:30

L’economia ripartirà? Quando? Come? Queste sono le domande che tutti gli italiani si stanno ponendo oggi. Lo stato di allarme annunciato in Italia prima del resto d’Europa ha scatenato come sappiamo tante reazioni diverse e preoccupazione che riguardano uno dei settori più produttivi per il nostro paese: l’export. Soprattutto perché le regioni italiane più dedite all’export (Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte, ecc.) sono state e continuano ad essere proprio le più colpite dal Covid-19.

Nel 3° report Covid-19 “Nell’occhio del ciclone” pubblicato dall’Ufficio Studi di Confartigianato sono proposti alcuni scenari sull’andamento dell’export nei settori di MPI (alimentare, moda, legno, mobili, prodotti in metallo, gioielleria e occhialeria) basati sulle previsioni della domanda estera per area pubblicate dal World Trade Organization. Considerando uno scenario il più possibile realistico (consapevoli che questi dati sono destinati a un probabile cambiamento in relazione alle condizioni del contagio, alla durata del lockdown ecc), nel 2020 il Made in Italy nei settori di MPI segnerebbe un calo del 19,3%, una flessione che risulterebbe più ampia del -17,1% registrato nella recessione del 2009; in questa prospettiva si registra però un rapido recupero nel 2021con le esportazioni che rimbalzano del 24,1%.

Quindi quello che tutti si stanno chiedendo è: ci sarà dunque una crisi nel settore export? Come riprenderà forza? Come sarà visto il prodotto italiano all’estero? Ma soprattutto, qual è effettivamente la situazione negli stati destinatari? Per rispondere a queste domande ci siamo rivolte ad un imprenditore italiano, Carlo Splendorini, proprietario di un’attività negli Stati Uniti, paese che occupa il terzo posto dopo Germania e Francia nella graduatoria dei principali paesi destinatari, coprendo il 9,4% dell’export italiano.

Carlo Splendorini è un mixologist pluripremiato in Europa e nel mondo. Dopo essersi diplomato all’istituto Alberghiero di Assisi con specializzazione in sala bar, ha lavorato in Germania e Londra, per poi finire appunto a San Francisco, dove tutt’oggi lavora in qualità di bar-manager e partner del Private Club Modernist da aprile 2016. Dunque, per prima cosa abbiamo chiesto quale sia la situazione in merito alla reperibilità vista dagli occhi di un imprenditore.

  • Il Covid-19 ha avuto per Lei un impatto sulla reperibilità di prodotti italiani?

La reperibilità adesso c’è perché i mezzi primari continuano ad essere importati. Però ci sono meno soldi, l’economia è andata a picco, quindi si fa con quello che c’è. C’è meno potenzialità finanziaria.

È certo che come in Italia, così negli Stati Uniti e nel resto del mondo il rallentamento dell’economia dovuto al lockdown abbia causato una minore disponibilità di spesa non solo per i consumatori ma anche per i produttori. Da quanto dice Splendorini sembra però che il prodotto italiano aiuti a fare la differenza anche in circostanze di questo tipo! È risaputo che il Made in Italy ha un prestigio che si basa sulla creatività, sulla qualità e sull’inventiva. Questa sigla è motivo di orgoglio per ogni produttore italiano poiché contribuisce all’immediato riconoscimento del prodotto in termini di immagine generale. Lo conferma l’imprenditore tifernate raccontandoci delle soluzioni da lui utilizzate, dalle quantità di prodotto che riesce tutt’ora a vendere e dal prodotto stesso che offre.

  • Quali sono le soluzioni tecniche e le strategie che sta attuando attualmente in questa fase di lockdown come imprenditore?

Per adesso ho creato una compagnia di “cocktail to go”. Ho pensato che le persone si siano stancate di bere semplicemente vino a casa, ho quindi creato un listino online con tutti i cocktail descritti che spediamo direttamente a casa dei nostri clienti. […] Attualmente facciamo 50/60 cocktail al giorno che non sono pochi rispetto al periodo che stiamo vivendo.

  • Quali prodotti Made in Italy usa nelle sue produzioni?

Uso per esempio le Olive di Castelvetrano per il Martini, i tartufi di Urbani, l’olio di Ranieri, faccio il limoncello con i limoni di Sorrento, preparo il Bloody Mary con pomodori San Marzano, nel Manhattan uso solo ciliegie al Maraschino.

  • Come sono visti i prodotti Made in Italy dai suoi clienti?

Sono visti come prodotti di alta qualità! Se associ qualità ad un prodotto, il cliente inconsciamente si abitua, si educa a quel sapore e lo riconosce. In un’economia che va se c’è la qualità, il prezzo è giustificato. Ho fatto uno studio su come giustificare ciò che uso (ingredienti) e il prezzo che applico, dalla scelta del ghiaccio ai fiori commestibili. Se per esempio faccio un Manhattan e uso Bourbon e Carpano Antica Formula (l’unico Vermouth che costa più di 25$ a bottiglia), viene riconosciuto! Posso giustificare quel prezzo e nessuno si lamenta.

È dunque chiaro che il vero prodotto italiano garantisce una qualità, nonostante le tante imitazioni presenti nel mercato il consumatore è in grado di percepire la differenza. Da quello che sembra dire Splendorini, mettendo in discussione anche il fenomeno dell’Italian Sounding dal suo punto di vista in costante diminuzione, “la gente viaggia di più, ed è proprio questa a educarla ai sapori. Si può fare una replica certo, ma casi di Italian Sounding se ne vedono molti di meno proprio per questo motivo”.

La speranza che questa situazione e le parole di Splendorini sembrano darci è che il prodotto italiano ha una potenzialità innata, che può vincere anche un’eventuale crisi.

Ed è su questo che bisognerà far forza: avere la consapevolezza di un valore e di un’immagine di eccellenza e qualità, difenderla e puntare su di essa. Rafforzare un’identità che l’Italia nel tempo ha già costruito e può mantenere.

A cura di
Teresa Tugliani, Annalisa Testa

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