L’attenzione verso l’ambiente e la sostenibilità si è risvegliata negli ultimi mesi. I consumatori sono più informati e cercano risposte concrete anche quando vanno a fare la spesa. Non basta, però, semplicemente dire di essere “green”, sempre più persone cercano informazioni sulle confezioni.
Secondo una analisi dell’Osservatorio Immagino, la green economy sulle etichette dei prodotti di largo consumo piace. A condizione però che sia concreta e dia informazioni su sostenibilità e riciclabilità. A quanto pare non bastano le promesse.
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Lo studio ha analizzato 24 claim nelle etichette alimentari presenti sugli scaffali di supermercati e ipermercati. I ricercatori si sono concentrati su oltre 26mila prodotti, quasi il 22% del totale, che nel 2020 avevano realizzato oltre 10 miliardi di giro d’affari, in crescita del 7,6% rispetto ai 12 mesi precedenti.
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“La percezione della sostenibilità in Italia sta cambiando – osserva Marco Cuppuni, direttore ricerche e comunicazione Gs1 Italy – e le aziende hanno bisogno di strumenti e di un approccio scientifico per misurare la sostenibilità a tutti i livelli del proprio business. Inoltre l’attenzione alla sostenibilità si sposa con la circolarità in ogni fase di vita dei prodotti”. E l’informazione concreta paga.
“Nel corso del 2020 sono aumentate le vendite che comunicano la riciclabilità del pack, sottolinea Cuppini, a scapito di chi non comunica nulla sul corretto riciclo”.
Le informazioni green possono passare anche dal cibo. Le etichette possono essere una garanzia sulle materie prime e sui processi produttivi. Esistono pure delle certificazioni. La principale certificazione per giro d’affari, per esempio, è Fsc (Forest Stewardship Council) con 120.411 prodotti censiti nell’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino che hanno messo a segno una crescita del +10,1% delle vendite su base annua, trainati da latte Uht, pasta fresca ripiena, i rotoloni di carta, la carta igienica e il pesce naturale surgelato.
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