Non fa figo lo Chardonnay siciliano, non più, ora che la narrazione autoctonista è rimasta (quasi) l’unica: grillo centrica prima, vulcanocentrica poi. Quella dei vitigni alloctoni, almeno in Sicilia, sembra essere una storia demodè, più figlia degli incentivi europei che di vere scelte agricole.
Lo Chardonnay made in Sicily sembra figlio di un tempo che pochi amano ricordare e che molti si vantano di avere dimenticato, tralasciando che forse, se questo vitigno la storia della Sicilia l’ha fatta, è perché, male, a queste latitudini non è stato mai.
Legato a una narrazione, giocoforza passatista, lo Chardonnay sta diventando l’uva da boomer per eccellenza, di quelli che vanno a vedere Vasco, Ligabue e gli Stones, tipo. Eppure, appunto per quello, lo Chardonnay 2015 dei Principi di Spadafora convince per la capacità di essere fieramente quello che è, senza cercare mai di essere altro che se stesso.
Non troverete in questo vino la freschezza punk che va di moda ora nei bianchi, come se tutto il mondo fosse una grande Loira e i Blanc(s) dovessero essere tutti Chenin. Ma troverete struttura, intensità e carattere, cose non troppo di moda ora, ma che in un vino sono sempre molto belle. La prosaica poesia di un vino ben fatto che viene da un mondo che sembra distante intere ere glaciali. Era l’anno di Roma-Bangkok per intenderci, canzone che molti negano di avere “stremmato” in modo selvaggio.
Intenso ma mai pedante o tossicamente assertivo. Forse non sarà troppo in linea con lo zeitgeist, ma funziona e non mente. Il contrario di molte robe che si assaggiano di sti tempi.
Da bere ascoltando l’unica canzone di quella annata che posso dire di ascoltare, senza provare imbarazzo. Si chiama “High by the Beach” di Lena del Rey. Parla di cose che, come questo vino, se ben fatte non passano mai di moda.
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