Se lo cerchi su Instagram devi scrivere Fabio del Palmento, non il suo vero nome: Fabio Signorelli, territorialista, professione enologo e vignaiolo di contrada, sull’Etna. Non è figlio dell’Etna lui, ma se ne considera figlio adottivo. Nasce infatti a Mazara del Vallo da cui parte dopo gli studi in enologia, non per bisogno ma per curiosità, come direbbe Troisi. Sull’Etna questo siciliano dell’ovest ci arriva dall’Umbria, più di dieci anni fa, un po’ per scelta e un po’ per caso, come spesso accade nella vita.
Con un nonno proprietario di vigne ai quattro angoli della Sicilia, zio enologo, Fabio si laurea, manco a dirlo, in enologia nel 2005. Avviato al mondo delle cantine sociali della sua zona, avrebbe potuto fermarsi e continuare a fare quello che faceva: posto fisso vicino a casa. Il sogno di molti coetanei, da sempre, in Sicilia. E invece l’esigenza di partire, di crescere, di ricominciare, di vedere il mondo oltre lo stretto di Messina, di fare altri vini, di conoscere storie, terre, persone nuove per andare oltre ai paradigmi enologici anni ’80 attenti troppo ai numeri e poco alla poesia del vino.
Parte con un amico coetaneo per la Toscana e lì ricomincia da zero, a Montalcino, come trattorista, potatore, cantiniere e tuttofare. Ripartendo dalla terra, dalla campagna, dai fondamentali, due cantine in tre anni, impara a gestire i grandi rossi da affinamento, a fare vini pensati per invecchiare: i grandi rossi toscani. “Per la prima volta – spiega Fabio Signorelli – comincio a capire cosa significa territorio, le specificità di ogni singola vigna, della sua interazione con i singoli microclimi e ambienti: la magia di fare vino. Sono anni duri – continua – dove ho imparato tantissime cose, a pensare con la mia testa a farmi nuove domande”.
“Quando ho capito di essere cresciuto abbastanza, ho iniziato a mandare curriculum ad enologi importanti, via mail (i tempi Linkedin erano ancora lontani). Un giorno mentre stavo potando una vigna – racconta Fabio – mi ha chiamato il grande Riccardo Cotarella. All’inizio pensavo fosse uno scherzo, invece era davvero lui. Ho lavorato per lui in Umbria. Ha iniziato ad apprezzare il mio lavoro e dopo qualche tempo mi ha coinvolto nel progetto di Terrazze dell’Etna, nella mia Sicilia. Il resto, come si dice, è storia. Un progetto entusiasmante che mi ha portato per più di tre anni in giro per l’Etna a conoscere tutte le varie contrade, vigne, gli angoli più nascosti.
Insomma, per Fabio un lungo scouting che gli ha permesso “di conoscere in modo incomparabile le sfaccettature di questo magico territorio e di acquisire una conoscenza capillare di questa montagna che mi ha cambiato la vita per sempre”. “Questo vivere il vulcano, da dentro, ha fatto nascere in me – continua Fabio -l’esigenza di fare il vino in modo diverso, più mio, un vino che riuscisse a trasferire nella bottiglia le singole caratteristiche delle varie contrade etnee, senza additivi e manipolazioni: un vino onesto e di territorio.
Fare vino naturale significa capire il vigneto, le sue diverse specificità, capire che ogni anno è diverso. Sull’Etna tutto cambia nel giro di pochi metri, cambiano i suoli, le esposizioni, i microclimi e i vini devono riuscire a trasmettere tutto questo”.
In questa nuova fase della sua vita, inizia ad aiutare piccoli produttori indipendenti a realizzare progetti su singole vigne fino ad arrivare a lavorare a tempo pieno per il progetto SRC di Rori Parasiliti per cui da tre anni cura tutti gli aspetti della produzione, in vigna ed in cantina. Ma a Fabio tutto questo non basta e sente l’esigenza di mettere davvero radici su queso vulcano della cui ancestrale energia non può più fare a meno.
“Il mio sogno è sempre stato quello di avere una vigna attaccata alla casa in cui abito – racconta emozionato Fabio – fare vino dal vigneto che vedo aprendo la porta di casa mia. Dopo una lunga ricerca sono riuscito a trovarla: è il posto in cui abito. Guardando assieme le terrazze coperte di foglie rosse affacciate sul mare dei Giardini Naxos”. Nella luce avara di questo pomeriggio d’autunno qui a Contrada Bardazzi versante nord est, Fabio mi indica l’antico palmento dove mi assicura che, molto presto, sarà in grado di gestire l’intero processo di vinificazione e fare davvero un vino di Palmento, come si faceva sull’Etna nei secoli scorsi”.
Per ora i suoi vini sono tre. Il primo, più varietale e territoriale, è il Palmento di Levante, dedicato alla casa dove vive, magnifica espressione di Nerello Mascalese (rigorosamente in maiuscolo), un’uva povera ma nobile. Come ama definirlo Fabio, un blend dei frutti delle due contrade, Bardazzi del 1896 e Moganazzi più a nord, in grado di declinare assieme il nerello nelle sue forme migliori. L’eleganza della vigna più a nord e quella di Contrada Bardazzi, più vicina al mare, con più struttura, danno vita a un vino da conversazione, elegantemente quotidiano, da bere in compagnia ed essere felici. Il secondo vino, quello più fresco e giovane è un rifermentato in bottiglia o pet’nat come si dice adesso, con uve bianche e Nerello Mascalese dei margini più ombreggiati di contrada Bardazzi e vendemmiate a fine settembre. Un vino euforico e gastronomico assieme, un vino per dare un po’ di leggerezza a questo presente incerto.
L’ultimo vino, il più misterioso e audace, che produce si chiama Madrenera. È dedicato al vulcano da cui tutto ha origine, figlio della vinificazione dei grappoli delle piante di nerello mascalese vendemmiate più tardi e altre antiche varietà a bacca rossa, frutto della storia del vigneto. In questa bottiglia si possono trovare uve sconosciute piantate dei contadini nel corso dei secoli in un blend di vigna che rende unico questo vino in quanto racconto della storia unica del luogo e della vita di chi lo ha abitato. Madrenera, in onore anche delle uve a bacca nera, spesso senza nome, che portano nel bicchiere la storia di questo pezzo di terra e di chi lo ha lavorato.
Presente e passato si ritrovano nella bottiglia che apriamo salutandoci, quando ormai il sole inizia a scomparire alle nostre spalle con un equilibrio mirabile e una energia atavica che sa di futuro. “Spero di fare vini che rendano sempre onore a questo territorio e alle sue uve straordinarie e di trovare altre vigne magiche di cui innamorarmi, dove fare altri vini di contrada, senza mai essere schiavo delle dinamiche di mercato per portare avanti, con umiltà, la storia del vulcano. Sarebbe bello poter fare vini di territorio anche a casa mia – conclude Fabio Signorelli – nelle vigne di mio nonno, per portare anche nei luoghi dove sono nato ciò ho imparato a fare e con lo stesso spirito con cui faccio vino qui sull’Etna”. Non sappiamo ancora come sarà il mondo di domani, post pandemico, post tutto quanto. Sappiamo che vini come quelli di Fabio ci serviranno, perché ci sarà sempre bisogno di poesia sulla terra.
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