C’è un elefante nella stanza del mondo del vino e si chiama wine pairing. Se da un lato la stella polare dell’eno-mondo è ormai la sostenibilità in tutte le sue forme, dall’altro si dimentica spesso che nessuna pratica agricola o enologica potrà mai fregiarsi dell’aggettivo di “sostenibile” se si continueranno a proporre abbinamenti con proteine di origine animale.
La carne e la sua produzione sono alla base della catastrofe climatica che stiamo vivendo e “l’abbraccio mortale” del mondo del vino con le carini, sembra essere un tema di cui nessuno ha voglia di parlare. Eppure si sottolineano continuamente le pratiche agricole virtuose e a basso (o nullo) contenuto di sostanze di sintesi chimica, la riduzione del peso delle bottiglie, l’uso dei tappi di materiali riciclati e anche di vetro riciclato per le bottiglie.
La pseudo scienza del wine paring canonico ancora imperante (https://cookmagazine.it/e-se-il-wine-pairing-finalmente-scomparisse/), insiste con il suo “pensiero magico” (le basi scientifiche dell’abbinamento cibo vino sono attendibili quanto quelle del terrapiattismo), a perpetuare miti stantii, arbitrari, antiquati ma soprattutto non sostenibili.
Il mondo sta evolvendo, piaccia o no, nella direzione del vegetarianismo e della riduzione drastica dei consumi di carne e proteine animali in genere. Eppure nelle schede tecniche di degustazione per tutti i rossi di struttura, per tutti i vini importanti insomma, si consiglia l’abbinamento con enormi bistecche di carne rossa (non importa se da allevamenti intensivi). Negli abbinamenti con i grandi bianchi, champagne e bollicine, invece, si suggeriscono gli immancabili crudi di pesce, meglio se pescato con le bombe.
Il mondo del vino quindi ha un problema di dissonanza cognitiva con la sostenibilità: quello che è nel bicchiere deve essere sostenibile e derivare da buone pratiche, il cibo no, mai. L’importante è che risponda ai requisiti gustativi pseudoscientifici dei manuali del sommelier.
Vino sostenibile su tavole insostenibili sembra andare bene a tutti, purché si paghino i 500 euro (abbondanti) del terzo livello di AIS a tema abbinamento cibo (insostenibile) e vino. Questo nonostante il mondo del food si sia evoluto, ibridato e contaminato (non sono sinonimi). Anche se in Italia è comparsa la cucina fusion, dall’Asia, dalla Americhe meridionali, dal nord Europa, spesso con ingredienti vegetali e spezie nuove, nelle schede tecniche di abbinamento regnano sovrani la costata di vitello e il pesce spada alla griglia, come ai tempi della Guerra Fredda.
Stando alle schede tecniche e ai suggerimenti di abbinamento anche delle modernissime enoteche online (le famose Netflix del vino), non ci sono chance per un vegetariano di concedersi un sangiovese invecchiato, un barolo o anche solo un nero d’Avola. Come del resto sulla stessa linea è impossibile che esista la possibilità anche solo teorica di abbinare un bianco di struttura seguendo una dieta plant-based. Anche se opti per il super sostenibile Emidio Pepe, senza carni bianche o pesce, godi solo a metà. Il messaggio delle associazioni di Sommelier, delle enoteche (online e non), è che purtroppo la mesta tribù dei non mangiatori di carne (le uniche persone sostenibili per il mondo), debbano rinunciare al vino in virtù della pesudo-scienza dell’abbinamento.
Per i sempre più numerosi ristoranti vegetariani o persino vegani, per tutte le diete del mondo che prescindono dalla bistecca intensiva, dal pollo Broiler e dal salmone “scozzese” allevato, il vino non sembra essere una opzione. Ancora nel 2023 si stenta a trovare un abbinamento per il carciofo e per gli asparagi, non abbinabili a detta degli pseudoscienziati del pensiero magico dell’abbinamento.
Un lessico, quello dell’abbinamento e dei descrittori, eurocentrico e obsoleto. Una pesudoscienza, quella dell’abbinamento, che potremmo definire “terrapiattismo culinario”. Riuscirà l’umanità futura a salvarsi? Sopravviveremo al pensiero magico e potremo mai, in futuro, abbinare vini che ci piacciono a cibi sostenibili per continuare a bere senza possibilmente estinguerci? Forse.
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