E se il Perricone fosse il vino più buono che vi siete sempre dimenticati di bere? Eterno outsider della vigna siciliana, perennemente in panchina quando andavano i vini potenti, gli preferivano il Nero d’Avola. Ora che vanno vini rossi leggeri, anzi leggerissimi, si va di Nerello. E lui sempre là, che aspetta il suo momento beckettiano che sembra non giungere mai.
Forse perché il Perricone con quella sua anima terrosa e contadina ci ricorda quello che siamo stati e che facciamo finta di non essere. Ci ricorda, ad ogni sorso, che veniamo dalla terra, sempre. Non vuole sedurre, mai, il Perricone, e in questo è decisamente poco contemporaneo: allergico all’hype, troppo antico per essere la nuova “cool thing” per i wine-nerd neofiti. E troppo indie per stare nelle guide e nei “best of” di fine anno.
Non vuole sedurre ma solo piacere per come è. E forse, in questo mondo post-(il suffisso mettetelo voi), è forse il vino di cui abbiamo bisogno. Impermeabile alla normalità diceva un cantautore, reticente alle mode, è solo se ben fatto un vino vero, che di vigna, fatica e di, agreste, poesia.
Il P 19 di Criante è uno di quei vini che ti fa ricordare perché era bello nel mondo prima fare il mestiere che facevo: scoprire bottiglie emozionanti e farle bere a estranei di tutto il mondo, che si fidavano di me, sei sere a settimana.
Un rosso che berrei quasi su tutto, ma anche senza niente. Uno di quei vini da bere con una persona a cui piaci per come sei e non per come vorresti sembrare. Un rosso, terreno, ma non per questo poco mentale. Una visiva intensa che sa di mistero, un’olfattiva criptica boschiva e balsamica. Poi al palato, campestri eleganze e leggiadre intensità: in poche parole, il vino c’è e tanto.
Un vino di chiaroscuri e di scosse elettriche, ASMR da venti a sud est e altre cose belle. A me è venuta in mente una canzone che si chiama Crush, lei è Ethel Cain. È una canzone rarefatta, campestre, bellissima, come una bottiglia di P 19 di Criante.
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