

Un filo d’olio come filo di speranza, di riscatto e di rinascita. È questo il cuore del progetto «Viaggiare su un filo d’olio», nato dalla collaborazione tra la casa circondariale Pasquale Di Lorenzo di Agrigento e l’azienda Val Paradiso, realtà d’eccellenza dell’olivicoltura siciliana. Un’iniziativa che intreccia territorio, formazione e reinserimento sociale, offrendo ai detenuti un’opportunità concreta di crescita personale e professionale, a partire dalla terra. Presso la sede dell’istituto penitenziario è stato presentato l’olio extravergine d’oliva La Rupe, frutto delle olive coltivate nei terreni della struttura, raccolte a mano dai detenuti e lavorate nel frantoio dell’azienda Val Paradiso.
All’evento hanno partecipato Anna Puci, direttore della casa circondariale, Giuseppe Di Miceli, responsabile dell’area trattamentale, l’agrotecnico dell’istituto Giovanni Alati, l’agronomo Matteo Vetro per Val Paradiso, assieme a Massimo e Desiderio Carlino, titolari dell’azienda. A condurre l’evento il giornalista Adalberto Catanzaro. Al termine della conferenza i presenti hanno fatto una degustazione guidata dell’olio La Rupe, accompagnata da un assaggio di pane e olio, a simboleggiare la semplicità e la forza di un progetto profondamente umano.

L’evento è stato un’occasione per raccontare i risultati ottenuti, riflettere sull’impatto del progetto e annunciare le novità in programma per la prossima edizione. Per il 2025, infatti, l’iniziativa si arricchirà con un modulo formativo avanzato, volto a trasmettere ai detenuti conoscenze sull’intera filiera dell’olio d’oliva: dalla raccolta alla trasformazione, fino alla progettazione dell’ etichetta e alla promozione del prodotto sui canali digitali e social. Un percorso completo, che affianca al lavoro agricolo competenze in ambiti creativi e commerciali. Avviato nell’autunno 2024, «Viaggiare su un filo d’olio» ha rappresentato un esempio virtuoso di agricoltura sociale, trasformando un uliveto in una opportunità di riscatto e formazione.
Le bottiglie prodotte, non destinate alla vendita ma donate in beneficenza alle istituzioni, veicolano un messaggio potente: anche dietro le mura di un carcere può nascere qualcosa di prezioso, capace di raccontare impegno, altruismo e desiderio di riscatto. «Viaggiare su un filo d’oro – dichiara Anna Puci – è un modo di rieducare, dare una possibilità, un’alternativa e trovare appunto il contatto con quello che è il mondo esterno con quello che è il lavoro, con quella che è la terra, il primo contatto dell’essere umano. Quindi tornare alle proprie radici, riuscire a riconnettersi con l’essenza e con la natura dell’essere umano. Questa è la mission dell’amministrazione penitenziaria, questo è lo scopo che dobbiamo perseguire. I detenuti impiegati nella lavorazione sono stati quattro. Erano tutti detenuti a trattamento intensificato, i cosiddetti articolo 21, che hanno già la possibilità di poter espletare delle attività lavorative all’interno del penitenziario e anche fuori».
«Viaggiare su un filo d’olio – sottolinea Massimo Carlino – è stata un’iniziativa voluta dal penitenziario e noi in questo viaggio siamo stati una tappa. I detenuti coinvolti nel progetto si sono occupati della raccolta delle olive, noi siamo intervenuti negli step successivi con la frantumazione delle olive, nella produzione dell’olio extravergine d’oliva, dello stoccaggio, dell’imbottigliamento e abbiamo dato anche un contributo per quanto riguarda l’aspetto dell’etichetta e della parte burocratica amministrativa. Siamo profondamente orgogliosi di essere stati scelti come partner del progetto e siamo riconoscenti verso chi ha immaginato tutto ciò, coinvolgendoci in questo viaggio. Grazie a questo progetto abbiamo capito che il frantoio poteva diventare molto più di un luogo dove si fa l’olio , poteva trasformarsi in un vero e proprio laboratorio del fare, del sapere, di rinascita, di speranza».
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