‘La storia della pasta in 10 piatti’, Luca Cesari: “Vi racconto il mio viaggio nel gusto”

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“Storia della pasta in 10 piatti”, scritto dallo storico bolognese Luca Cesari ed edito da “ilSaggiatore”, indaga la storia di 10 piatti che tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo mangiato. Per il Gambero Rosso è il libro dell’anno, ma lo sforzo letterario di Luca Cesari convinto anche la critica letteraria tanto da aggiudicarsi il Premio Bancarella della cucina.

Il viaggio nella storia del piatto per eccellenza che descrive l’essenza dell’essere italiano, parte alcune volte da lontano, altre da più vicino. E non mi riferisco solo al tempo ma anche allo spazio se si legge attentamente il capitolo strepitoso sulla Carbonara. Tanti aneddoti, curiosità e storie hanno invaso la nostra “tavola mentale” oramai piena di dubbi ed incertezze. Chi conosce le fettuccine all’Alfredo? Oppure è nata prima l’Amatriciana o la tanto blasonata Carbonara?

Un tema che esce molto spesso tra le righe del libro è forse il fatto che alcune tradizione o mode (permettetemi il termine) siano più vicine a noi di quanto potessimo immaginare. Chi lo dice che la carbonara deve realmente essere composta da quei precisi ingredienti dettati dai gastropuristi? Che poi, si può essere gastropuristi su un qualcosa di non fondato?

Trovo assolutamente precisa e strepitosa la ricerca attraverso più o meno recenti ricettari quali hanno fatto si, nel caso della carbonara, di sfatare qualche mito. Insomma, Luca Cesari ha scritto un libro che rimarrà nella storia della bibliografia enogastronomica e che chiunque sia interessato all’argomento deve almeno leggere una volta nella vita.

Proprio dai commenti di chi ha letto il libro, ho tratto spunti di riflessione ampi e coerenti. Ne riporto uno su tutti: “ Con la scusa di raccontare la storia della pasta, Cesari cala il lettore all’interno di quell’universo della storia sociale che focalizza la ricerca sul valore delle culture regionali e locali…in questo modo, curiosità e aneddoti accompagnano di pari passo ricette e piatti, oramai scomparsi dalle nostre tavole così come li conosciamo oggi e riportati in vita attraverso una rigorosa ricerca storica…il tutto sempre citando rigorosamente fonti e provenienza.”

In questi giorni abbiamo avuto il piacere di scambiare idee ed opinioni proprio con Luca Cesari. 

Perché ha scritto questo libro e cosa è significato per lei?

La pubblicazione della “Storia della pasta in dieci piatti” è nata dopo diversi anni di raccolta e catalogazione di materiale relativo alle ricette più famose del nostro paese. L’idea che la loro storia sia più complessa e articolata di quanto vogliono le leggende sui piatti tradizionali salta all’occhio una volta che si mettono in ordine le fonti per risalire alle prime versioni conosciute.

La nascita del libro si deve però alla lungimiranza dell’editore Il Saggiatore con cui ho progettato il libro e che mi ha supportato in tutto il percorso dall’ideazione alla revisione del testo. Il fatto che attualmente sia in corso di traduzione in sette lingue, di cui portoghese e olandese già in libreria, mentre il tedesco lo sarà a giorni, rende l’idea che il lavoro che abbiamo fatto sia stato apprezzato anche all’estero. A livello nazionale invece, il grande interesse riscosso si è coagulato nella vittoria del premio Bancarella della Cucina, un riconoscimento molto importante per me e il mio editore.

È giusto affermare che le nostre tradizioni culinarie sono più vicine nel tempo di quanto potessimo pensare?

Sì, è corretto. Di solito si pensa che le ricette tradizionali siano immutate da secoli, frutto di un’antica sapienza di cui noi continuiamo a raccogliere i frutti. In realtà la cucina è viva e in costante evoluzione e, anche lasciando perdere le diatribe su come debba essere eseguito un ragù alla bolognese o una carbonara, oggi siamo arrivati a una formulazione quasi univoca, ma esistono molte più versioni scomparse dei piatti che ci sono cari di quante possiamo immaginare. Semplificando molto, possiamo dire che i tortellini alla bolognese non hanno nemmeno un secolo e hanno trovato la loro ricetta definitiva nel 1974, la carbonara come la mangiamo oggi è degli inizi del secondo millennio, l’amatriciana degli anni sessanta, il ragù alla bolognese e le lasagne di inizio Novecento e così via. Ovviamente sono piatti che esistevano anche in precedenza, ma in forme che oggi sarebbero irriconoscibili: per fare solo un esempio, il primo tortellino alla bolognese degli inizi del XVI secolo era ripieno di pollo e veniva fritto, poi zuccherato.

Nel suo libro parla della carbonara in maniera attenta e affascinante ma con una varia e vivace ricerca sull’origine e sulla produzione “tradizionale”. È veramente così difficile risalire alla storia di un piatto con certezza ?

Il fatto è che il concetto di “tradizione” è stata perlopiù inventato e appiccicato come un’etichetta ad alcuni piatti che nascevano senza un’identità precisa e accoglievano diverse varianti. Quando è stato conferito loro questo nuovo status si è sentita l’esigenza di trovare una formulazione unica e, per quanto possibile, pienamente condivisa, giustificata da una sua presunta identità e immutabilità nel tempo che in realtà non c’è mai stata. Dal punto di vista della ricerca storica si ha a che fare con oggetti gastronomici poliedrici e cangianti, veramente difficili da afferrare, anche perché la cucina degli strati più bassi (e le ricette della pasta di solito nascono lì) non è stata molto rappresentata all’interno dei ricettari o in altre fonti scritte che sono arrivate fino a noi. A volte non è sempre facile riuscire a riannodare tutti i fili e alcune domande rimangono in sospeso, ad esempio perché la carbonara abbia questo nome è oggetto di dibattito, ma non ha ancora trovato una soluzione.

Quanto è importante fare la storia del cibo oggi? In un periodo in cui il cibo non ha storie da raccontare?

La storia del cibo è sempre stata importante, ma di solito ci siamo affidati a una narrazione che spiegava le origini dei piatti attraverso racconti mitici che assegnavano la paternità alle ricette, ma senza il supporto delle fonti storiche vere e proprie. A partire dagli anni sessanta, quando si è trattato di costruire e rilanciare una “cucina nazionale” italiana sul modello di quella francese, è nata l’esigenza di trovare nobili antecedenti per i piatti più famosi: che fossero reali o meno non era importante, quello che contava è che fossero credibili (più o meno). In quel momento storico l’ideologia legata alla cucina prevaleva su tutto e nessuno si è preso il disturbo di verificare come fossero andate realmente le cose, anzi a volte i fatti venivano distorti artificiosamente per creare nuovi miti, come nel caso delle leggende sulla nascita del tortellino.

Oggi, grazie anche agli strumenti informatici e alle biblioteche specializzate che hanno raccolto una grande mole di materiale a riguardo, è possibile compiere ricerche più approfondite e affidabili in merito, riuscendo a fornire spiegazioni realistiche sulla nascita e l’evoluzione di alcuni piatti. Forse non avranno la stessa aura leggendaria, ma, per quanto mi riguarda, sono molto più interessanti e forniscono uno spaccato realistico della nostra cultura gastronomica.

In Italia, spostandoci da un paese all’altro, a distanza di pochi chilometri, troviamo nomi diversi per ricette uguali o quasi. Quanto è difficile muoversi in questo campo? La vede più come una ricchezza culturale o può essere, magari, un danno al marketing culinario?

La nostra ricchezza si basa proprio sull’estrema varietà di piatti che possediamo e se il marketing territoriale non ne tiene conto, ha perso in partenza. Innanzitutto perché esistono zone in cui ci sono ancora piatti eccellenti e poco conosciuti che andrebbero valorizzati, ma anche per il fatto che le piccole e grandi varianti all’interno di una stessa specialità sono il termometro della loro vitalità. Le ricette immutabili sono solo quelle già consegnate alla storia, tutto il resto della cucina è in movimento, magari impercettibile, ma continuo. Ovviamente ciò si scontra con il fatto che alcune specialità hanno un forte carattere identitario per intere comunità e, a volte, per tutto il nostro Paese, perciò le si vorrebbe molto più stabili, ma la cucina è un’espressione della società e ne rispecchia i mutamenti.

Come ha approcciato lei allo studio delle ricette poi descritte nel libro? Quale tipologia di pasta le ha dato maggior filo da torcere e quale ricerca invece è stata più affascinante?

Il metodo che ho utilizzato, banalmente, è stato quello di seguire a ritroso il filo delle ricette e delle loro diverse declinazioni. A volte per non perdermi ho dovuto compilare lunghe tabelle excel in cui ho segnato i piatti in ordine cronologico con tutte le variazioni trovate nei diversi ricettari. A questi si sono aggiunti le cronache e gli articoli di giornale, la letteratura, il cinema e, a volte anche la poesia, che sono andati a colmare i vuoti delle ricette pure e semplici. Per quanto sia accurata, si tratta di una ricerca senza fine e già adesso avrei da fare alcune correzioni al libro.

La ricetta più impegnativa è stata quella del ragù che occupa un paio di capitoli e ha origine in Francia con un piatto che assomiglia a uno spezzatino e si diffonde in diversi paesi europei, ma non ha nulla a che vedere con la pasta: seguire i fili della narrazione nei ricettari delle altre nazioni ha richiesto parecchio impegno.

La ricetta che mi affascina di più invece è quella dei tortellini in cui ho voluto racchiudere un po’ la storia della pasta ripiena in generale, ma ho dovuto lasciare molte cose in sospeso per evidenti ragioni di spazio e sono sicuro che meriterebbe un libro a sé.

Ph. Dario Lazzari 

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