E se il wine pairing, finalmente, scomparisse?

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La maggior parte dei sommelier lo dice solo sottovoce, ma alcuni hanno cominciato anche a scriverlo: l’abbinamento col vino è una noia mortale. Come i dischi di Ligabue. Alla fine di ogni pezzo su una nuova bottiglia, nel 2021 ci dobbiamo ancora beccare i famigerati abbinamenti consigliati, le classiche righe che nessuno legge ( e perché dovrebbe mai?).

Punto primo, che sembra poco importante (ma non lo è), i food paring di chi scrive di vino sono fermi agli anni ’80, sono passati indenni attraverso il crollo dei grandi regimi, dei cambi di clima, di bandiere, dei social, della techno, dell’indie, dell’analogico e del digitale: sempre uguali a se stessi, divertenti e innovativi che manco Andreotti.

Gli “abbinatori” professionali continuano, nel 2021, a proporre abbinamenti a base di carne e formaggi e forse non si sono accorti che il mondo forse è cambiato un po’. Hanno mai sentito parlare dei vegetariani? Del cibo etnico? Della fusion?

Se leggiamo i paring consigliati ancora nel 2021, sono sostanzialmente due le cose. Vanno sempre per la maggiore, in tutte le stagioni, vitello e maiale, ovvero le due carni che stanno distruggendo il pianeta. Gli abbinatori professionali hanno un debole per la griglia o per l’arrosto, sono fan di Claude Lévi-Strauss pur non avendolo letto e per tutti i tipi di pesci coinvolti nell’overfishing ( Seapiracy anyone?): tonno, salmone e pesce spada sono tra gli abbinamenti preferiti dai wine writers.

Poi ovvio ci sono sempre i formaggi semi stagionati che vanno bene col 90% delle uve fermentate del mondo. Le verdure non esistono mai e, se esistono, non sono di stagione. A febbraio un collega recensiva un vino consigliando di abbinarlo ad una pasta tonno e pomodorini. A febbraio, classica stagione del pomodorino.

Le spezie? Queste sconosciute. Aromi diversi da timo o rosmarino eresie globaliste. Pietanze etniche? Mai. Zenzero, curry sono del tutto assenti e il mondo vegetale si ferma alla riga dei descrittori olfattivi. Nessuno di quelli che scrive di vino ha mai pensato che forse anche i vegetariani lo bevono e che i ristoranti vegetariani, a volte, hanno una cantina.

Dovessimo seguire le indicazioni degli eno-giornalisti o delle associazioni di sommelier, l’estinzione del genere umano sarebbe assicurata. Per fortuna non rappresentano che una parte minoritaria, molto minoritaria degli umani che bevono vino. Una minoranza per fortuna in diminuzione.

Lavoro in sala da abbastanza tempo per sapere che a nessuno che abbia una vita sessuale decente potrebbe mai interessare di bere un vino perché l’untuosità della salsa contrasta magnificamente con la mineralità del sorso. E su questo credo dubbi non ce ne siano e chi cena da solo beve per dimenticare di esserlo. A quel punto beh, meglio qualcosa di molto alcolico, a di là delle sensazioni, che dite?

Sto dicendo che l’abbinamento cibo-vino non ha senso? No, mai, è il mio lavoro. Il vino si abbina sempre a delle cose, è un elemento che accompagna la nostra vita, ma io ho sempre pensato ad un abbinamento che abbia più a che fare con la musica, col mood, con le vibrazioni.

Non si beve lo stesso vino quando esci con una donna bellissima o coi tuoi compagni di università che vedi ogni giorno, non si beve la stessa bolla se si festeggia un compleanno o un traguardo professionale,  ad una cena coi colleghi o ad una con clienti. Insomma i vini sono sempre differenti come le situazioni della vita umana e un buon sommelier, o un buon wine writer, dovrebbe puntare su quello se spera davvero che le ultime righe del suo pezzo siano lette e non diventino solo un modo per riempire carta.

Il liquido odoroso è, almeno dovrebbe essere, un’esperienza e più che pensare a quale piatto abbinarlo sarebbe meglio chiedersi perché si vuole bere un vino e dove si vuole berlo, che sensazioni cerchiamo in una bottiglia?

Quando mi sento solo, cerco rossi indulgenti che non mi giudicano e che mi tengono dolcemente su di morale.  Quando sono felice mi piacciono le bolle dure, a base di pinot nero, senza dosaggio. Quando sono in spiaggia amo i rosati trasparenti e poco alcolici che non berrei mai ad un aperitivo in città con i miei amici. Insomma il vino è un fatto di mood, di vibes. Il mio disco preferito è Band of Gipsy ma lo sento solo certe mattine, altre volte sento musica meno importante ma che mi fa star bene e basta.

Non sono certo io il primo nella storia umana a dire che nelle bottiglie ci sono dei messaggi. Ecco, il sommelier è uno che li ha letti quasi tutti. Non è uno che abbina la freschezza e l’intensità al palato, ma è un esperto che suggerisce il messaggio di ogni singola bottiglia alle persone più adatte per ascoltarlo. Ci sono vini che sono come il jazz classico, altri feroci come l’heavy metal, altri sono indie, registrati in bassa fedeltà. Tutti possono essere la colonna sonora buona o cattiva delle nostre vite. Dipende da noi, da dove siamo e con chi.

Difficilmente un vino vi rovinerà la serata perché al palato si abbina male con quello che mangiate. La maggior parte delle bottiglie si beve più o meno con tutto. Vi rovinerà la serata, se non piace alla vostra ragazza, se è troppo caro, troppo acido, troppo o troppo poco rock. Se il vino è una bomba ha sempre vinto, a prescindere da quello che ci mangiate. Credo che nessuno se gli offrono un Romanée-Conti dirà che preferisce un altro vino perché abbina male con la tendenza dolce del secondo che ha ordinato.

I grandi rossi stanno sempre bene con tutto, quelli cattivi con nulla. Come le persone del resto. A Kind Of Blue va alla grande sia per i pomeriggi di pioggia, che per quelli di sole, ma appunto è lui.  Spero in un mondo un poco diverso, quando ricomincerà, con meno cose inutili e noiose e con più cose divertenti. Una delle cose che non rimpiangerò sarà l’abbinamento dei vini con la succulenza della carne industriale arrostita o da una tagliata di tonno overfished. Spero in un mondo in cui tutti bevano liberi solo le cose che li fanno stare e bene. Solo per quello sarebbe già tanto.

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