Chi non conosce il Cirò Classico Superiore 2020 di Vigneti Vumbaca non può avere una vita felice. Questo vino made in Calabria, infatti, è realizzato con una meravigliosa uva autoctona: il gaglioppo. È un vino che, a mio avviso, dovrebbe stare nel campionato dei vini che contano.
Dovrebbe, appunto, ma è difficile farcela dalla Calabria. Come tutti i “sud” è un luogo difficile, spesso ingrato, ma mai avaro di emozioni. Chi come me si occupa di vino in modo professionale, ha visto crescere questo territorio, i suoi vini e anche il brand Cirò che comincia ad essere sulla mappa di chi (ancora) legge libri di carta. Questo grazie anche al meraviglioso lavoro di Possibilia Editore e del mitologico Giorgio Fogliani.
Descritto troppo spesso come un vino ostico, difficile ed eccessivamente austero, nelle sue versioni più belle è semplicemente un grande vino rosso che al naso ricorda Volnay e in bocca sa di Mediterraneo. Con le stupende viti ad alberello, le premesse per un colossal ci sono tutte: una visiva luminosa a tratti chiaroscurale e meravigliosamente affascinante, un naso di rapsodica complessità tra frutta rossa, macchia mediterranea, balsamiche allusioni e agrumi veri (come tutti in tutti i vini sudisti di classe). Al sorso è puro (eno)fascino, rustico ma mai grezzo. Si potrebbe dire vero. Entra con un accenno di dolcezza che non si concede troppo e allunga maestoso con un finale di agrumi e tannini integrati ma mai docili. Finale lunghissimo, freschezza e sapidità aprono la strada a note citriche di inaspettata, poetica grinta.
Un vino per notti mediterranee, possibilmente non da soli. Un vino ruvido e poetico come il blues fatto bene. Un rosso che ridisegna il concetto di eleganza in modo più inclusivo e “street”. Ebbra poesia che sa in modo inconfondibile di terra, di sud e di altre cose bellissime. Da abbinare ad una delle canzoni italiane più belle di sempre, scritta e cantata da un calabrese. Lui è Peppe Voltarelli, il pezzo “Distratto ma però“. Come questo Cirò, che fa anche rima.
Lascia un commento