Caro Conte, se annienti la ristorazione sarà la storia a presentarti il conto

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Caro premier Conte

Ho letto l’ultimo Dpcm firmato da Lei più e più volte. L’ho fatto, mi creda, senza preconcetti o sovrastrutture ideologiche di qualsiasi tipo. Mi sono solo sforzato di trovare un filo conduttore tra le varie strette imposte agli italiani per contenere la nuova ondata di contagi che c’è e che indiscutibilmente fa paura. Ma mi creda, caro presidente, non ne sono venuto a capo e anzi, a dirla tutta, è cresciuto dentro di me l’atroce sospetto che molte delle disposizioni che voi avete inserito all’interno del Dpcm non siano state frutto solo di una valutazione scientifico-sanitaria, quanto di un folle bilanciamento di interessi economici in gioco. In parole povere: schiaffetto a chi ha le spalle larghe e spranga sulle ginocchia a chi invece non ha referenti all’altezza nei palazzi del potere.

Secondo quale valutazione di natura epidemiologica o più in generale scientifica, una cena in un ristorante o il servizio al tavolo in un locale notturno rappresenta un rischio per l’incolumità pubblica maggiore rispetto a una funzione religiosa, a un viaggio su un qualsiasi mezzo pubblico di una grande città, alla fila alla cassa del supermercato, alla sosta nelle sale d’aspetto degli uffici pubblici e così via all’infinito? Avete messo sullo stesso piano le sale di ristoranti e ristorantini con quelle delle discoteche e dei club dove gente ubriaca e sudaticcia è obiettivamente incapace di assicurare distanziamento sociale e utilizzo di mascherine.  Perché l’avete fatto?

Forse perché avete tagliato sino all’osso i fondi destinati alle forze dell’ordine e non c’è nessuno che possa garantire un controllo capillare del territorio? Il ragionamento quindi è: “Non posso verificare che nei ristoranti vengano adottate tutte le precauzioni del caso? Amen, chiudiamo tutto”. Qualora non se ne fosse accorto, caro presidente, a dipendere dalle sorti del settore della ristorazione non sono solo titolari, chef e camerieri. Alle loro spalle ci sono centinaia di migliaia di produttori, ci sono cantine vinicole, aziende agricole, piccola manifattura, ci sono i proprietari degli immobili che non riceveranno più l’affitto con puntualità, ci sono i gestori dei servizi energetici che dovranno ricorrere al recupero crediti per vedere saldate le loro bollette e ci saranno, quindi, milioni di famiglie che non avranno di che campare.  A rischio, caro Conte, non c’è solo qualche botteguccia di quartiere da potere “ristorare” con una manciata di euro (da accreditare chissà quando). A rischio c’è il sistema Italia, c’è la nostra tenuta economica e sociale.

L’urlo di dolore che questo settore ha lanciato in queste ore risuona in molte piazze italiane. Il rischio concreto che la situazione degeneri è sotto gli occhi di tutti. E si badi bene, nessuno si permetta di definire “minacce” le proteste di piazza. Perché non saranno i soliti violenti e facinorosi a inquinare una protesta che è vera come la disperazione di chi non sa come tirare a campare nelle prossime settimane.

A lei, presidente del Consiglio, chiedo un atto di coraggio e di umiltà. Riveda quest’ultimo Dpcm, lo renda più armonico e se è il caso anche più rigido per quel che riguarda i controlli. Nessuno qui ha il terrore di uno “stato di polizia” che non esiste, i ristoratori italiani bramano la possibilità di dimostrare all’Italia quanto elevato sia il loro senso di responsabilità e la loro cura per il bene comune. Non si tireranno indietro davanti alla necessità di rivedere alcune loro abitudini. In fondo, lo hanno già fatto nel corso di quest’ultimi mesi con ineguagliabile attenzione. Facendo un passo indietro, sicuramente, si esporrà agli attacchi dei suo avversari politici che la accuseranno di debolezza, ma è qui che viene fuori un vero statista. Secondo Sir Winston Churcill, infatti, “il politico diventa uomo di stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che alle prossime elezioni”.

Lei aveva promesso che sarebbe diventato “l’avvocato degli italiani”. Bene, lo dimostri e anche subito. Perché se annienterete la ristorazione sarà la storia a presentarvi il conto. E, ne siamo certi, sarà salatissimo.

P.S. Il Coronavirus c’è e non è solo “qualcosa di più di una semplice influenza”. Il rischio che il sistema sanitario collassi è concreto e il cosiddetto “punto di rottura”, purtroppo, non è solo una minaccia lontana ma un’ombra ingombrante che giorno dopo giorno va assumendo contorni sempre più inquietanti. Negare, sminuire o ridicolizzare ciò che sta accadendo rischia quindi di generare un effetto boomerang dagli effetti imprevedibili. E noi non lo faremo mai. 

 

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