Agroalimentare italiano, l’export resiste al Covid: tengono cibo e bevande

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L’agroalimentare italiano resiste al Covid. Nel 2020, anno della pandemia, si è registrato un export da record con un incremento del +1,8%, parti ad un valore di 46,1 miliardi di euro. Se le esportazioni segnano un trend positivo, lo stesso non si può dire sul campo della tutela dell’unicità dei prodotti, ancora da migliorare.

Inoltre, a livello globale, sembra che la pandemia rischi di aumentare esponenzialmente il numero di persone denutrite nel mondo.  Questi dati sono emersi nella presentazione del quinto Forum Food & Beverage. L’incontro è previsto per il 4 e 5 giugno a Bormio e si snoderà attorno a temi quali alimentazione, salute e sport.

Agroalimentare italiano, l’export resiste al Covid: tengono cibo e bevande

La pandemia ha influito notevolmente sull’economia a livello mondiale. Nonostante il forte periodo di crisi, il settore agroalimentare italiano ha tenuto durante il 2020, anno del Coronavirus. Il valore aggiunto generato, infatti, è di 64,1 miliardi. In particolare, 31,2 miliardi dal settore cibo e bevande (-1,8%) e 32,9 miliardi dal comparto agricolo. Elemento trainante dal punto di vista economico è stato l’export, che ha toccato  un record di +1,8%, parti a 46,1 miliardi di euro.

Le analisi di The European House – Ambrosetti in vista del Forum dicono che la performance dell’industria agroalimentare italiana è stata migliore rispetto al Pil nazionale (-8,9%).

“L’Italia è il secondo Paese in Europa per incidenza dell’agroalimentare sul Pil (3,8%), preceduto solo dalla Spagna (4%) e sopra Francia (3%) e Germania (2,1%)” ha affermato Valerio De Molli, managing partner & ceo di The European House – Ambrosetti, secondo quanto riportato da Claudia Tomatis dell’Ansa. “Col valore aggiunto generato nel 2020 – ha precisato – l’agroalimentare si conferma al primo posto tra le “4A” del Made in Italy, 1,9 volte l’automazione, 2,8 volte l’arredamento e 3,2 volte l’abbigliamento”.

Nell’export le bevande sono la categoria più venduta e generano oltre un quinto del fatturato (20,6%), con Germania, Francia e Usa maggiori approdi. A tal proposito è stato aperto un nodo riguardante la Brexit, argomento che verrà approfondito al Forum del 4 e 5 giugno a Bormio.

Tuttavia il 2020 ha portato con sé delle grosse difficoltà per il settore horeca. Settore che, in Italia, secondo Stefano Marini, amministratore delegato di Sanpellegrino, gruppo Nestlè, “pesa molto”.

Non solo crescita, quello che manca al settore food in Italia

Il valore dei prodotti italiani è riconosciuto in tutto il mondo. Il boom relativo all’export dell’agroalimentare ne è una testimonianza. Tuttavia sembra che ci sia ancora molto da lavorare per quanto riguarda il miglioramento della tutela dell’unicità dei prodotti.

Ancora troppo spesso, infatti, si incorre in truffe e falsi prodotti made in Italy.  Stefano Berni, direttore generale del consorzio di tutela del Grana Padano, ha sostenuto come “l’etichetta a semaforo sponsorizzata dalle grandi multinazionali metta a rischio il Made in Italy agroalimentare”. Dal presidente della Lombardia, Attilio Fontana, l’auspicio che il governo possa contribuire al lavoro in corso per la salvaguardia dei prodotti alimentari italiani e la tutela della loro unicità.

Se da un lato migliorano le produzioni a fronte di una devastante pandemia, dall’altro non si può dire che migliori anche la nutrizione. Secondo stime Onu-Fao, infatti, a livello globale la diffusione del virus rischia di generare da 83 a 132 milioni di nuove persone denutrite nel 2020.

Il settore del food in Italia ha grosse potenzialità, ma sembra che per ottenere il giusto successo serva ancora lavorare molto. “Parliamo di un settore lasciato a se stesso – ha rilevato però Francesco Mutti, amministratore delegato di Mutti – e partiamo in ritardo rispetto alle potenzialità che avrebbe”. Sembra che all’Italia manchino degli elementi necessari per una scalata nel settore food. “Ad esempio – ha sostenuto Mutti secondo quanto riporta Tomatis – la ridotta dimensione aziendale“.

 

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