Nel 2021, dati alla mano, le esportazioni alimentari di prodotti made in Italy hanno generato un valore di circa 50 miliardi di euro. Nel solo mese di giugno, ad esempio, si è registrato l’impressionante aumento del 23,1%. Al di là delle evidenti ripercussioni positive sull’intero comparto dell’agroalimentare italiano, che cosa ci dicono questi numeri? Che quadro disegnano di questo Paese ancora alle prese con gli strascichi della maledettissima pandemia?
Il primo aspetto che a mio avviso salta subito all’occhio di chi ha avuto il privilegio (perché tale è oggi più che mai) di concedersi qualche giorno di vacanza in giro per l’Italia, è l’assoluta “fame” di territorialità. Non a caso ad avere la meglio in questa estate rovente, sotto tanti punti di vista, sono stati i piccoli centri, i borghi dell’entroterra, gli agriturismi. In una sola parola, ha stravinto il turismo di prossimità. Si stima infatti che nelle grandi città d’arte si sia registrato uno sconfortante – 70% nei pernottamenti rispetto all’era pre-Covid. Un vero disastro cui però fanno da contraltare i numeri snocciolati in precedenza.
Il 65% degli italiani, stima Coldiretti, ha scelto di mangiare fuori casa e il cibo si presenta, ancora una volta, come la voce di spesa principale delle famiglie. In più, è emerso come 6 italiani su 10 abbiano scelto di visitare frantoi, cantine e aziende agricole dove acquistare il famigerato “chilometro” zero. Insomma, una piccola rivoluzione copernicana dei consumi e del turismo nostrano.
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