Tartufo bianco coltivato in Francia. La notizia ha suscitato delle perplessità. Sembra infatti che si possa godere del pregiato prodotto anche al di fuori del suo naturale luogo di coltivazione. Una svolta che lo porterebbe più facilmente sulle tavole dei ristoranti sparsi per il mondo, ma qualcuno storce il naso.
L’offerta di tartufo bianco non riesce a soddisfare la richiesta che viene da tutto il mondo. Finora, il pregiato prodotto, è stato raccolto esclusivamente in ambiente boschivo italiano e in alcuni altri Paesi europei, soprattutto nei Balcani. Adesso dalla Francia arriva l’annuncio che sarebbero in grado di coltivarlo anche lì.
Grazie ad una ricerca congiunta tra il centro di ricerca francese Inrae ed i vivai Robin, il problema della reperibilità verrebbe così parzialmente risolto. Sono state realizzate in Francia le prime piantagioni per la coltivazione di tartufo bianco pregiato, utilizzando piantine preventivamente micorrizate con T. magnatum.
La prima raccolta risale al 2019, quattro anni e mezzo dopo la messa a dimora delle piantine micorrizate. L’intero studio ha avuto inizio nel 2008 con la realizzazione delle piantagioni in Francia nove anni dopo.
I lavori della ricerca – spiega una nota – aprono anche la strada in Italia allo sviluppo della coltivazione del tartufo, ma anche in altre parti del mondo. La ricerca è stata presentata nell’incontro online “Produzione controllata di un tartufo raro”. La rivista Mycorrhiza, invece, il 16 febbraio ha ospitato i risultati scientifici del lavoro.
Finora il patrocinio è stato in mano all’Italia. Non a caso, infatti, si parla di una specialità nota come Tartufo Bianco pregiato d’Italia o Tartufo Bianco pregiato d’Alba. Ma la qualità del prodotto francese è di alto livello.
In Francia, il risultato principale è stata la raccolta, nella piantagione della Nouvelle-Aquitaine, di tre tartufi bianchi pregiati nel 2019 e di quattro tartufi bianchi pregiati nel 2020. Si tratta – spiega la nota – dei primi tartufi bianchi pregiati raccolti in una piantagione situata al di fuori dell’areale geografico naturale di questa specie. La notizia dovrebbe far tirare un respiro di sollievo, vista la difficile reperibilità. Qualcuno però storce il naso.
La raccolta nella piantagione della Nouvelle- Aquitaine ha fatto ben sperare, nonostante il numero contenuto. “Se vogliamo dare un futuro al tartufo bianco d’Alba, non possiamo fare leva solo sulla natura, ma dobbiamo affidarci anche alla ricerca”, sostiene Mauro Carbone, direttore del Centro nazionale degli studi del tartufo, intervistato dal Corriere della Sera.
Se da un lato ci si apre a questa nuova coltivazione, dall’altro emerge qualche preoccupazione. Il rischio maggiore riguarderebbe una frenetica commercializzazione delle piante micorizzate, qualora fosse dimostrata a pieno la loro efficacia: “Serve una cultura del prodotto, e in Italia c’è; i tartufi non si piantano come fossero pomodori”. Ecco perché la strada migliore secondo Carbone sarebbe quella di integrare le tartufaie naturali “condizionando l’albero cosicché abbia più possibilità di sviluppare le micorizze, responsabili della formazione del tartufo bianco”.
Coldiretti lancia un allarme. Sembra infatti che, grazie alla sperimentazione francese, con la Brexit gli inglesi hanno iniziato a copiare in laboratorio il pregiato Tartufo Bianco che potrebbe presto sostituire sulle tavole britanniche quello italiano, che al contrario cresce spontaneamente. I funzionari hanno detto – spiega Coldiretti – che un lotto di alberelli di quercia di tartufo bianco è stato già portato nel Regno Unito nel tentativo di avviarne la produzione.
Una novità che desta preoccupazione – rileva la Coldiretti – poiché il tartufo bianco è quello che finora poteva essere solo trovato in natura in Italia. Anche se i terreni britannici, calcarei e umidi, sarebbero particolarmente adatti per consentirne la coltivazione secondo gli scienziati, è auspicabile che i tuberi “copiati” e prodotti negli impianti abbiano comunque una etichettatura apposita, per evitare di ingannare i consumatori e aumentare i rischi della vendita sul mercato di importazioni low cost spacciate per italiane, magari come pregiato tartufo bianco tricolore.
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