Roberto Cascino, nipote di Francesco Paolo Cascino, appartiene alla più grande famiglia di chef che la Sicilia abbia mai avuto; i maestri Cascino, ultimi rappresentanti dei Monsù siciliani (cuochi professionali, educati alla scuola francese, che servivano nelle case nobili e hanno fatto la storia della gastronomia siciliana). A loro si devono piatti che ancora oggi rappresentano la tradizione della cucina siciliana, come il semifreddo di mandorle.
Chef dalla spiccata sensibilità, da anni collabora con la ASL per dimostrare che la cucina non conosce confini e può soddisfare le esigenze di tutti, da chi ha operato una scelta di vita a chi, purtroppo, soffre di intolleranze o malattie che limitano l’assunzione di certi alimenti, categoria, quest’ultima, che sfortunatamente è in continua crescita.
“Cucinare per un celiaco o per un soggetto con intolleranze non significa fare ristorazione per malati, parto dal presupposto che la celiachia non sia una malattia e un soggetto celiaco non deve essere visto come un problema nel campo della ristorazione. La mia filosofia di cucina parte da un modus operandi diverso: nasce dal rispetto verso il cliente e le sue esigenze. Ricordo un mio carissimo amico, il Dott. Geraci, che soffriva di alcuni problemi di salute e questi era solito dirmi “io mangio solo quando mi cucina Roberto perché i suoi piatti mi fanno stare sempre bene e non ho mai problemi a digerirli”: questo è stato per me uno dei più bei complimenti ricevuti.”
Quale è stato il momento in cui ti sei sentito davvero uno chef?
“Almeno una decina di anni fa, avevo già 38 anni ma possiamo dire che sono nato in una pentola dal momento che mio nonno e mio padre sono chef di tradizione: ciò da un lato è stato positivo ma anche negativo per certi versi, perché ero sempre il figlio di o il nipote di… allora per emergere ho avuto più difficoltà da superare. Ho iniziato molto presto e, avendo la fortuna di osservare giornalmente queste figure così importanti, sono cresciuto: loro mi hanno dato basi solide e le basi fortificano. E’ chiaro che l’aggiornamento va fatto costantemente. Mio nonno era figlio del suo tempo, mio padre era figlio del suo tempo ed io sono figlio di questo tempo.
Mi sono sentito uno chef quando, circa 10 anni fa, ho cominciato a girare per l’Italia a fare corsi di aggiornamento: volevo testare il mio livello, così mi accorsi di essere più avanti di quanto io stesso credessi. Molte cose facevano già parte del mio bagaglio proprio perché ho avuto la fortuna di essere nato nella mia famiglia.”
Ma cosa significa realmente “essere uno chef”?
“La parola chef è molto importante, ultimamente viene usata un po’ troppo di frequente e a volte a sproposito. Non basta uscire dall’alberghiero per essere uno chef. Prima di diventarlo devi subire, crescere, ti devi trovare in certe situazioni e non confonderti perché in ogni servizio capitano gli imprevisti.
Oggi ad un cuoco devi dare le migliori materie prime e i migliori mezzi tecnici che ci sono a disposizione; di contro noi invece veniamo da una scuola in cui anche senza grandi mezzi tecnici si cucinava: la cottura a bassa temperatura la facevamo anche prima e controllavamo la temperatura con il dito. Anche io utilizzo le tecnologie, sarei uno stupido a non farlo, però, qualora dovesse verificarsi un guasto o un problema in cucina non mi confondo ed il servizio viene portato a termine. Mio nonno, grandissimo chef, studiava ancora a 70 anni e ricordo mi diceva sempre che se si smette di studiare allora non si può più fare questo mestiere. Lui che era stato un Monsù era sempre alla continua ricerca dell’evoluzione e questo mi ha condizionato nel mio lavoro. Io studio sempre, studio le materie prime, le assaggio, sperimento, alcune volte sogno abbinamenti la notte.”
In cosa consiste l’abilità di uno chef?
“A mio parere l’abilità di uno chef sta nel sapere cucinare con 4 ingredienti; sarebbe interessante fare questo esperimento: dare solo 4 ingredienti e chiedere di realizzare un piatto. Non 50 ingredienti, con quelli sono bravi tutti, il difficile sta nello sperimentare con pochissimi ingredienti. Qui sta l’abilità! Qui sta la differenza tra uno chef e un giovane cuoco.
Questo è un lavoro molto duro: ricordo che da ragazzo, a 17 anni, lavoravo nel ristorante di mio padre, non c’erano sabati o domeniche né festivi. Oggi noto con dispiacere che ci sono parecchi che si improvvisano cuochi senza aver studiato. Diceva Massimo Bottura una grande verità: uno chef, nei confronti dei suoi clienti, ha la stessa responsabilità di una madre che allatta il figlio al seno. Noi abbiamo la responsabilità della salute dei nostri clienti.
Per fare al meglio questo mestiere occorre avere ETICA e per me significa rigore, sacrificio e dedizione.
Prima c’era molto più rigore nelle cucine. Lo chef non potevi neanche guardarlo in faccia. Anche con mio nonno, nonostante fossi suo nipote, all’interno della cucina gli si doveva totale rispetto.”
Cosa pensa della cucina moderna?
“Nella cucina mondiale si è creato un solco tra vecchi maestri e i giovani cuochi: i primi non vogliono nemmeno sentir parlare di innovazione, e i secondi hanno distrutto tutto quello che c’era nella cucina tradizionale. Lo stesso Gualtiero Marchesi, prima di morire, disse” se distruggiamo la tradizione distruggiamo la cucina italiana”. La mia cucina si colloca tra queste 2 posizioni: conosco la tradizione, non posso dimenticare da dove vengo, ma so anche creare piatti innovativi. D’altronde l’innovazione può nascere solo dalla tradizione.
Ad esempio la panna, prodotto che i vecchi chef usavano dappertutto, oggi invece è demonizzata dalla cucina moderna. Questo è sbagliato. Ci sono alcune preparazioni leggere, delicate, in cui un cucchiaio di panna in mantecatura va messo e non può essere sostituito con altro. Spesso prendo piatti del passato e li ripropongo, senza mai snaturarli. Ho studiato tutta la cucina dell’800 dei Monsù. Per cucinare bene occorrono mente passione e cuore. E, cosa non meno importante, è indispensabile essere allegri. I problemi si lasciano a casa, non si possono trasmettere emozioni con un piatto se non ti emozioni tu stesso. Se sei scontento questo si rifletterà sul piatto.”
Come definiresti la tua cucina?
“Mi dicono che in cucina ho “una mano leggera” perché riesco sempre a trovare un equilibrio, dando al piatto una certa delicatezza. La mia cucina è tendenzialmente legata alla tradizione ma sempre alla continua ricerca di innovazione. Ritengo importante rispettare sempre le caratteristiche del prodotto lavorandolo anche in modo diverso. Mi piace molto abbinare prodotti provenienti da paesi diversi e creare così una fusione. L’anno scorso per esempio ho tenuto alcune lezioni di pasticceria con incontri Nord/Sud e in quella occasione ho presentato un gelo di anguria servito su una base di sbrisolona: unire ingredienti diversi al fine di esaltarli”.
Quanto è importante per te l’impiattamento?
“La cucina è un’arte e il piatto bianco è la tela del pittore. Anche l’impiattamento presuppone uno studio e ha le sue regole. Alcune regole le hanno dettate i giudici nelle competizioni internazionali di cucina, ma quelle fanno parte delle competizioni e poi ci sono delle regole professionali: non si sborda mai al di fuori del piatto, mai inserire ingredienti che non fanno parte del piatto stesso, non mettere nulla che non sia edibile. Per la costruzione del piatto è poi importante ricordare che prima si mettono le parti più liquide (salse) e poi il pezzo forte.
Possiamo dire che per impiattare si seguono le stesse regole di un fotografo: occorre focalizzare l’obiettivo e decidere cosa è davvero importante nel piatto per valorizzarlo, tutto il resto funge quasi da ornamento. Non meno importante è la scelta del tipo di piatto che si vuole utilizzare, se si vuole dare volume o si vogliono utilizzare creme.”
Oltre ad essere un grande chef, è anche un maestro di cucina: quanto è importante.
“Insegno in due scuole: da 27 anni insegno nella scuola alberghiera che è intestata a mio nonno e da qualche anno insegno e faccio da coordinatore nella scuola Be’chef. Qui teniamo corsi di cucina, pasticceria e poi specializzazioni: corsi sui primi piatti, sui secondi, sui finger e vi partecipano ristoratori e cuochi, ma abbiamo anche corsi amatoriali. Abbiamo corsi con qualifica Regionale, che prevedono molte ore di insegnamento e parecchi moduli di pratica (es. sulle cotture, sui tagli etc.), così come corsi di cucina regionale che curo personalmente. Curo anche i corsi di dessert al piatto: un tipo di pasticceria particolare che presuppone una predisposizione verso i dessert e una conoscenza profonda delle basi della pasticceria proprio perché si tratta di un piatto composto da 7-8 preparazioni tutte differenti. Di recente ho partecipato come giudice ad un format televisivo regionale Cook king. Ritengo che la televisione, se è fatta bene, spiegando in una certa maniera le cose, può essere molto utile per educare lo spettatore.
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