In un futuro molto prossimo la nostra alimentazione sarà arricchita da “proteine alternative“. Entro il 2035, infatti, un decimo di tutte le porzioni di carne, uova e latticini consumate nel mondo sarà con proteine a base vegetale, di microrganismi o di cellule animali. Lo rileva lo studio “Food for Thought. The Protein Transformation” di Bcg- Boston Consulting Group.
Cambia il modo di mangiare, cambia l’attenzione all’ambiente e alla sua salvaguardia. Sulla base di queste nuove tendenze, sempre più persone scelgono di introdurre nella propria alimentazione delle “proteine alternative”. Secondo lo studio Food for Thought. The Protein Transformation infatti entro il 2035 un decimo delle proteine assunte sarà a base vegetale, di microrganismi o di cellule animali.
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Al centro della ricerca ci sono le proteine derivate dalle piante, come soia o piselli gialli. Oppure ancora quelle prodotte utilizzando batteri, lieviti, alghe unicellulari e funghi o coltivate direttamente da cellule animali, tra cui della carne e dei frutti di mare.
Nel mondo, secondo l’analisi, entro i prossimi quindici anni nove piatti su dieci avranno un’alternativa con proteine a base di piante, microrganismi e cellule animali. Non sarà necessario creare nuove ricette, cambiare i sapori o aumentare i costi per il consumatore. Si guarda a prodotti oggi comuni come gli hamburger, i burritos, le lasagne, così come al sushi, alla pizza e all’asado.
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“Il loro consumo – segnalano gli analisti – è destinato ad aumentare di sette volte nei prossimi quindici anni a livello globale, passando dalle attuali 13 milioni di tonnellate l’anno, il 2% delle proteine animali, a 97 milioni di tonnellate entro il 2035, quando rappresenteranno l’11% del totale”.
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Inoltre, l’interesse di consumatori, aziende e investitori verso questo tipo di prodotti spingerà il mercato delle proteine alternative. Si stima infatti che entro il 2035 il suo valore raggiungerà i 290 miliardi di dollari. Alla base di questo trend ci sono le scelte sempre maggiori verso verso prodotti salutisti, con minori emissioni di CO2 e minori implicazioni etiche legate all’allevamento intensivo degli animali.
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