Kalòs kai agathòs. Se è vero che i Greci usavano indicare così quella sintesi di bello e buono, espressione di valore e integrità morale, è vero anche che nessun’altra locuzione riesce a sintetizzare appieno il Nesos, non solo un vino ma un progetto nato dalla passione di Antonio Arrighi, lungimirante vigneron toscano che ha fattivamente contribuito a dar corso allo studio condotto dal Professor Attilio Scienza (Ordinario di Viticoltura dell’Università degli Studi di Milano), Angela Zinnai e Francesca Venturi del Dipartimento di Viticoltura ed Enologia dell’Università di Pisa.
La presentazione, avvenuta il 13 novembre a Villa Fabbricotti di Firenze (sede di Toscana Promozione Eventi), ha visto l’intervento di Francesco Palumbo (Direttore di Toscana Promozione Turistica), Paolo Chiappini (Direttore di Fondazione Sistema Toscana), Stefano Feri (Vice Presidente del Parco Nazionale Arcipelago) e Stefano Ciuoffo (Assessore al Turismo e Commercio della Regione Toscana), oltre che degli attori principali del progetto Nesos.
Un sogno e un cuore racchiusi in una bottiglia che vuole ripercorrere il passato in chiave contemporanea; l’idea di riscoprire le antiche origini dell’enologia facendole rivivere nella contemporaneità di un sorso del Nesos, quel vino marino che ricalca le prassi di vinificazione dei vini di Chio. È dunque un ritorno al passato, un desiderio di rispolverare quegli antichi saperi che, altrimenti, sarebbero andati persi soffocati dalla frenetica routine quotidiana. È un vino “sudato” e complesso, realizzato a partire dalle uve di Ansonica, immerse per 5 giorni nelle nasse in mare, appassite al sole per essere poi vinificate in anfora con un lieve contatto tra buccia e mosto.
Va sicuramente rimarcata la lungimiranza di chi, a diverso titolo, ha reso possibile quest’esperimento scientifico unico al mondo, capace di far coesistere armonicamente le professionalità e le conoscenze del Professor Attilio Scienza e delle Professoresse Angela Zinnai e Francesca Venturi, e l’esperienza teorica e pratica di Antonio Arrighi, tra i primi convinti sostenitori della vinificazione in anfora di terracotta. Inconfondibilmente isolano al naso, ricorda il sale, le erbe aromatiche, gli agrumi, con una trama immancabilmente sapida, marina, cui fa da contraltare un piacevole abbraccio glicerico, caldo come il sole dell’Elba. Un’etichetta che divide e unisce, fondendo passato e presente, separando vetuste convinzioni dalle smentite della realtà.
Solamente 40 bottiglie di questo nettare, quintessenza di mitologia, di passione, di storia, con quel suo essere assieme ambasciatore di un know-how remoto, difensore di consuetudini antiche, paladino di un popolo e di una cultura che si perde nel tempo. Un unicum, dunque, difficile da sintetizzare in poche righe; un unicum da vivere, da ascoltare, da osservare attraverso la lente sapiente di Stefano Muti (Cosmomedia) che, nel suo documentario Vinum Insulae, ha saputo raccontare l’esperimento enologico di Nesos e le peculiarità di una tradizione. Pathos e mano capace si fondono così in un cortometraggio affascinante che, con un riuscito e complesso gioco di luci, suoni e squarci, rimanda alla storia ed al mito pur narrando il “quotidiano”.
Reduce dai successi del 26° Festival International Œnovidéo di Marsiglia (primo premio come Miglior Cortometraggio e riconoscimento della Revue des Œnologues per l’originalità e il valore della sperimentazione), Vinum Insulae è in concorso anche alla IX edizione del Most Festival 2019, Festival internazionale del cinema del vino e della cava.
La presentazione è stata anche l’occasione per compiere un viaggio esperienziale tra i sapori ed i profumi di un’isola dal fascino unico, grazie alla degustazione curata e promossa dal Consorzio Elba Taste, con la partecipazione attiva di Elba Magna (di Gabriele Messina) e Le Magie (di Paola Bertani).
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