La pasta degli “itagliani”, dalla moda della cottura al dente alle leggende delle origini

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Dopo un primo periodo di scoppiettanti polemiche sulla cottura della pasta per salvaguardare il portafogli, proponiamo una visione distaccata e alternativa. Premessa: niente ring degno di Professori Universitari o Chef del grande schermo. 

Dobbiamo necessariamente partire però da una base, o meglio da una assenza culturale sul tema pasta alla quale Massimo Montanari, noto storico dell’alimentazione, pone rimedio in uno dei sui libri: 

“L’italianità della pasta, o del pomodoro, o del peperoncino (o della pasta al sugo di pomodoro arricchito di peperoncino) è fuori discussione. Ma è anche fuori discussione che la pasta, il pomodoro, il peperoncino appartengono in origine a culture diverse: e che sia necessario scavare nello spazio, oltre che nel tempo, per recuperare i frammenti di storie diverse che alla fine si incrociano e danno origine a storie e identità nuove.”

Queste poche righe potrebbero far chiudere più serrande del Covid o del caroenergia. E noi italiani, così amanti-bugiardi, ne siamo a conoscenza anche nelle nostre tradizioni gastronomiche.

Tornando però al tema cottura, è opportuno inseguire un fattore storico essenziale: “La cottura al dente”. Tale modalità, o teoria di preparazione, si diffonde circa negli anni Ottanta e Novanta quando le pubblicità, dunque le maggiori imprese del comparto pasta, iniziano a tenere a mente del prezioso utilizzo del tempo e della vita frenetica che da li a poco avrebbe invaso le case e le tavole degli italiani. 

I minuti di cottura diventano cosi il primo fattore, subito dopo il prezzo, per cui una pasta viene acquistata. (Da notare anche il boom della pasta fresca, buona si, ma veloce in cottura). Eppure, riavvolgendo il nastro di qualche secolo e ritornando al Quattrocento, il Maestro Martino, uno dei principali gastronomi e cuochi del medioevo, consiglia una cottura dei maccheroni in acqua per almeno due ore. Proprio cosi, due ore!

Curioso poi è lo scontato abbinamento con il “cacio”, poiché il pomodoro si affermerà più tardi, a formare una sorta di pappa. Per l’attenzione alla cottura, dobbiamo aspettare il XVII secolo ma con testimonianze dei primi del Novecento quali affermano una cottura di “soli” 20-30 minuti. 

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