Lo so, sono fissato con la Loira, me lo rimproverava pure una mia ex, ma non è per questo, o meglio solo per questo, che mi lasciò. La vita a parte Bob Dylan, DeLillo e Coltrane, te la cambiano poche cose, dopo i vent’anni. E il cabernet franc è una di queste. È l’uva rossa perfetta, che tiene insieme ritmo e leggerezza, carne e levità, una rara armonia che ricorda molto da vicino la felicità, o almeno qualcosa che le somiglia.
Forse davvero il cab franc, (di Chinon dove siamo qui) è il vino adatto a questo autunno pandemico, anaffettivo e distanziato, è un vino che ci riporta a casa, nel suo essere austero e confortante assieme. Perchè sì, oramai disabituati come siamo alla fisicità vera, condannati ad emozioni mediate, tenui, contactless, non riusciamo quasi più a comprendere i rossi troppo fisici, troppo caldi, troppo invadenti, troppo rossi, ma allo stesso tempo abbiamo bisogno, ancora, di calore, vita, tenerezza.
E allora sì questo è un rosso da lockdown soft, al naso speziato, un poco criptico ma mai oscuro, ottimista nel suo boschivo procedere. E poi al palato si riscopre fresco e caldo allo stesso tempo, entra di freschezza, entusiasmo, grinta e chiude caldo, tenero, amico.
Una 2017 che sembra imbottigliata ora, un vino che, come direbbe il poeta ha la vie davant soi, facile da bere, meno facile da dimenticare. Un vino che è un peccato bere soli, ma che se siete soli è un peccato non bere, che in quell’anno se ve la ricordate c’era una canzone di Lena del Rey con The Weeknd, che si chiamava Lust for life, che aveva, se la sentite bene, questa freddezza iniziale che si apriva in calore, langudio, bello, persistente, come questo vino. Un rosso pandemico, e speriamo anche, presto, post pandemico. Cheers.
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