Non vanno più di moda i vini bianchi macerati. Ed è per questo che ho ricominciato a scriverne. I macerati di Francesco Guccione hanno sempre una luce diversa, come se avessero catturato da qualche parte la luce di un sole antico, più puro, luminoso e magico.
Una visiva dorata scura che sembra venire da un quadro del tardo Caravaggio con una luce che sa di future salvezze e di presenti oscuri. Un vino forse troppo grande e maestoso per questi piccoli tempi incerti.
Un vino del 2012, l’anno in cui esordivano Kendrick Lamar e Lana del Rey per dire. Cinque anni di affinamento in rovere sperando che quel vino, brutto anatroccolo all’inizio, diventasse un cigno grazie al legno, al tempo e alla fortuna. Tre cose senza cui non avvengono i miracoli. Una botte, insomma, che non aveva svolto tutta la fermentazione, volutamente dimenticata come ad aspettare un miracolo.
Questo non è solo un grande bianco, un grande trebbiano in purezza, un grande skin contact made in Sicily. È un grande vino e basta, intellettuale ma anche così affascinante e così bevibile che la sua complessità non è mai cerebrale. Un grande bianco firmato Guccione che tra profumi di spezie, miele e antica magia non si scorda mai di dissetare.
Un vino naturale che poteva anche non esistere (ma che esiste!) e che rende più bello il mondo di oggi così confuso e grigio. Un vino che ci parla di un’energia cosmica in cui sarebbe bello viverci immersi sempre e che ci fa venire voglia di sperare non in uno stantio Sol dell’Avvenire.
Un vino che guarda al futuro con ottimismo ricordando un passato in cui, come il titolo della canzone a cui consiglio di abbinarlo, incisa nell’anno della vendemmia che ha prodotto questo vino: We are young di Fun. Un brano che ci ricorda, a suon di rock educato e sapido, che forse con un po’ di buona volontà potremmo ancora essere capaci di brillare.
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