I ristoratori hanno atteso il mese di giugno con grande interesse. A partire da martedì 1 giugno infatti si è sbloccato il via libera per accogliere i clienti anche all’interno delle strutture. La ripartenza però è stata stentata perché all’appello mancano ben 150mila lavoratori.
Attesa finita per i ristoranti al chiuso ma la ripartenza è stentata
Il decreto del 26 aprile scorso ha permesso a molti ristoranti di ripartire. Molti, ma non tutti. L’apertura è stata concessa infatti solamente alle strutture che potevano ospitare i propri clienti in uno spazio esterno. Naturalmente nel rispetto del distanziamento e del numero massimo di quattro persone non conviventi per tavolo. Una batosta per chi invece ha a disposizione solamente sale interne.
Così, secondo quanto fa sapere Fipe Confcommercio, per il 46% delle imprese della ristorazione si è trattato di un lockdown prolungato per un altro mese e mezzo. Dal primo di giugno, però, via libera anche alle strutture con soli spazi al chiuso. L’attesa è stata tanta, gli imprenditori hanno cercato di prepararsi al meglio ma la ripartenza è stata stentata. Sempre Fipe infatti avverte che all’appello mancano circa 150mila lavoratori nel settore della ristorazione.
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Voglia di ripartire ma mancano i lavoratori
“Sono stati mesi drammatici per il comparto della ristorazione, ma finalmente si comincia a guardare con fiducia ai prossimi mesi”, spiega Roberto Calugi, direttore generale di Fipe-Confcommercio, Federazione italiana dei Pubblici esercizi.
“Nel Paese c’è una grande voglia di ripartire, gli italiani hanno voglia di riprendere in mano le loro vite e riappropriarsi dei luoghi della socialità. Ecco perché confidiamo in un rimbalzo molto positivo dopo questo lungo periodo di privazioni e solitudine”.
“Rimane, tuttavia, un’incognita che rischia di compromettere questa ripresa: mancano all’appello circa 150mila lavoratori. In particolare – prosegue – stiamo parlando dei 120mila professionisti a tempo indeterminato che nel corso dello scorso anno, a causa dei troppi impedimenti imposti alle nostre attività, hanno preferito cambiare lavoro e interrompere i loro contratti. Si tratta di cuochi e bar tender di lunga esperienza, attorno ai quali, spesso, sono state costruite intere imprese. A questi si aggiungono altri 20mila lavoratori che lo scorso anno lavoravano a tempo determinato e che oggi, anche alla luce dell’incertezza sul futuro, potrebbero preferire strumenti di sostegno al reddito, invece di un vero impiego. Per invertire questo trend e rendere nuovamente la ristorazione attrattiva soprattutto per le figure più professionalizzate, è importante che la politica dia un segnale di fiducia, ribadendo che il processo di riapertura sarà irreversibile”.
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