Una Sicilia che non insegue modelli, che non ambisce ad essere qualcosa d’altro, di meno o di più che sia, che su quest’isola, forse, se la smettessimo di cercare di fare vini come li fanno nella Loira in Toscana, o in Piemonte, o qualsiasi altro posto, forse, ci limiteremmo a fare solo dei bei vini rossi, come questo.
Territoriale ma non selvaggio, terrestre ma non prosaico un rosso, forse, che sulle prime non colpisce ma che, piano piano, ti entra, umilmente, dentro.
Un blend anomalo solo all’apparenza, questo note di rosso, dominato senza protervia dal Nero d’Avola, che si completa con Nerello Mascalese e Syrah. Blend anomalo, ma solo sulla carta, perché nel bicchiere, queste note, suonano, sempre, all’unisono.
Indie ma che suona bene, elegantemente bucolico, un rosso, non troppo notturno, che ama sè stesso, senza allegria, direbbe un poeta. Da bere all’aperto quando si è felici, in certi pomeriggi troppo lunghi e azzurri d’estate giovane.
Un vino che lavora piacevolmente di suggerimenti, allusivo, non assertivo, castagno perfettamente integrato, a ingentilire l’insieme, mai a mutarne l’aspetto, ribelle ma con (molto) stile, contadino ma senza ingenuità, solo uva sul proscenio, senza solfiti, filtrazioni, autotune…
Un vino che suona bene senza effetti e suona così bene che sembra che ne abbia, democratico anche nel prezzo, senza la superbia che spesso riguarda pure i naturali più integralisti.
Lo abbinerei con un pezzo folk australiano, indie ma nitido, coi suoni a posto, indie e gentile, garbatamente ribelle, in un’epoca in cui ribellione ed eleganza si incontrano sempre di meno, purtroppo. Una band che fa pezzi ottimisti, nonostante il nome poco allegro di Tiny Ruins: Design School, un pezzo quasi triste che si conclude con un Rise your glass to the sky.
(articolo originariamente pubblicato su WineVibes – Vini Naturali e pensieri di un sommelier con la coppola a questo link)
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